IL MILIONE

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Un anno fa, a quest'ora, arrivavo all'aeroporto di Hahn. Freddo, ero preparato. Pioveva, avevo l'ombrello. Le prime spese, avevo qualche euro. Il futuro, non avevo idea.

Oggi sono alla Brasserie du Parc. Stesso abbigliamento, ombrello nuovo, regalatomi dalla signora Paule, una mia allieva, un giorno che pioveva a dirotto e dovevo avere l'aspetto di uno spazzolino usato mentre uscivo da casa con una copia dell'Essentiel come riparo e le dicevo: "Non, pas des soucis, je n'ai pas besoin de parapluie, merci..." e lei me ne stende ovviamente uno. Qui hanno cambiato gestione, hanno rinnovato l'arredamento e i tipi, una coppia discretamente assortita, sembrano italiani. O portoghesi. O belgi. Mi fermavo qua i primissimi tempi, poi in autunno quando andavo al Centre des Langues per studiare. Poi in inverno quando preparavo il test per il concorso, già, il Concorsooone, proprio quello con tre " o ": c'erano i quiz sul sito del Ministero e mi ero allenato a farli nei locali, con la musica che un pò ti disturba, sapete, come quando ci si allena a correre con un peso di 10 kg appeso al torace. Ok, non sono mai stato uno sportivo, ma un atleta sì. Uno degli attributi più belli dati a una Persona è per Papa Woytila. Ecco, mi piacerebbe essere un atleta dello spirito, tutto in minuscolo e voi capite la modestia.

Nell'infinità di foto che ho scattato a mente, l'immagine che tra tutte porto con me sono io, col giaccone comprato in lire, sotto al ponte di Gasperich, nevicava, con un sacco pieno di camicie. Dicembre, ero in affitto da una tipa dove pagavo come al Grand Hotel e trovavo i termosifoni spenti quando tornavo la sera; una volta per esperimento li ho lasciati a "2" e li ho ritrovati a "1,7", no, ditemi voi. Invece mi viene a prendere una ragazza dolcissima, mi porta a casa sua e mi stira le camicie mentre fuori cascano i fiocchi. Ragazzo sentimentale, mi sono innamorato. E so che sembra che uno si innamori di una perchè stira, ma anche qui avete capito.

E poi un altro milione di cose, abbiamo tutti da scrivere il nostro Milione, siamo tutti dei Marco Polo in giro per il mondo, incontriamo i nostri Gran Kahn, sentiamo le lingue del mondo e le imitiamo, prendiamo i nostri innumerevoli treni autobus aerei, facciamo soprattutto i nostri chilometri a piedi. La prima regola dell'emigrante, stabilito in un mio personale decalogo è: cammina! La seconda è: parla con tutti. La terza è: parla con te. Quanti discorsi, quanti conti fatti e rifatti. Tre euro qua, quaranta là, l'abbonamento scade, il caffè si può prendere gratis al sindacato, dov'è il kebab a meno di 4 euro? E cosa mi direbbe il mio amico, cosa direbbe mia sorella, cosa direbbero tutti i miei avi, tutti là in fila in paradiso a curiosare le avventure del loro pronipote? Me li immagino, schiena curva e mani dietro la schiena, la tipica postura dei vecchi che ho visto o immaginato, non so distinguere più le due cose, bofonchierebbero come mi hanno tramandato le mie orecchie. Già: l'emigrante ha quattro occhi e quattro orecchie, vedi tutto ascolta tutto non farti scappare niente tutto ti può tornare utile. Che negozio c'è qua, come si chiama il tipo della brasserie, come si arriva alla Cloche d'Or, quanto costa il pane al Delhaize, ah sì, meglio il Cactus? E poi, cosa direbbe papà? Beh, questo non lo sapremo mai. Così non potete sapere chi siete voi a cui scrivo. Sparsi per il mondo, siete i testimoni di questo anno, e come scrittore editore correttore delle mie personali bozze di spirito, vi ringrazio per leggermi e farmi, volenti o nolenti, gli auguri.

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