In 18 ammassati dentro una casa

Quattro famiglie per due camere, Spinelli accusa: «Pago il mio cognome»

PESCARA. Diciotto persone stipate dentro una casa popolare di appena novanta metri quadrati. Accade al terzo piano del palazzo Ater di via Aldo Moro 31, dove quattro famiglie sono mescolate sotto lo stesso tetto: sala, cucina e due camere da letto. Da dividere per diciotto. Il più piccolo ha quattro mesi, il più grande è Antonio Spinelli, 44 anni, operaio di Attiva.

Spinelli lavora da 17 anni alle dipendenze del Comune di Pescara, non ha precedenti penali, ma si porta dietro un alone di diffidenza legato al suo cognome: «Il razzismo non si esprime soltanto con le spranghe di ferro», osserva, «ma anche con altri comportamenti. Come negare una risposta a chi fa una domanda?».

La richiesta di Spinelli è «almeno un'altra casa, anche se ce ne servono due». In via Moro 31, terzo piano con vista sulla chiesa di San Marco Evangelista, la porta blindata non si chiude quasi mai: abitato da 18 persone, l'appartamento di tre stanze e due bagni (uno è piccolo e senza finestra) è un porto di mare. «Chi entra e chi esce», dice Spinelli che quando fa il turno di notte si è abituato a dormire il minimo indispensabile perché riposare quando in casa ci sono altre 17 persone è impossibile.

Una casa di novanta metri quadrati (più il balcone) per 18 è senza mobili: via tutti gli armadi, sparito anche il tavolo per fare spazio ai letti. Uno a due piazze sta anche in mezzo al corridoio nascosto da una tenda blu. Di mattina le reti e i materassi vengono appoggiati al muro, altrimenti non c'è più spazio per camminare. Otto sono i minorenni, gli altri hanno tra 18 e 44 anni. Sette sono i figli di Spinelli: «Uno ci prova a vivere rispettando le regole, ma è quasi impossibile», spiega l'operaio.

«Quasi impossibile», perché per evitare di sfondare le porte e occupare gli alloggi popolari vuoti, queste quattro famiglie sono costrette a una convivenza forzata. Il più piccolo ha quattro mesi e gli occhi vispi: «Ma è malato», assicura la madre di 24 anni che ha anche altri due bambini. Il neonato è affetto da un virus che l'ha costretto a un ricovero di due mesi in ospedale. La madre mostra un certificato firmato dal primario di Pediatria Giovanni Visci: c'è scritto che il bambino ha bisogno di cure, «assistenza continuata» e di un latte speciale «dal costo elevato».

«Ma il virus è pericoloso, con tutte queste persone che girano in casa il bambino è a rischio di contrarre altre malattie perché ha difese deboli. Serve una sistemazione», chiede la madre lanciando l'ennesimo appello, «mica una reggia: un alloggio, magari anche da aggiustare».

Ma il punteggio della graduatoria non basta per riuscire a ottenere un alloggio popolare: «Ho fatto domanda quando avevo 18 anni, oggi ne ho 24 e non si è visto ancora niente, neanche un buco». Un'altra figlia di Spinelli è incinta e ha già una bambina che, con le treccine sui capelli, corre per il salone: «Prima di partorire, ho occupato un alloggio vuoto. Dopo sei mesi», racconta, «quando stavo all'ospedale sono venuti a cacciarmi. Ho sbagliato, sì lo so, ma l'ho fatto per necessità».

La famiglia Spinelli vuole parlare con il sindaco Luigi Albore Mascia: «Ma lui non ci riceve neanche su appuntamento e il segretario ci manda dall'assessore Isabella Del Trecco. Nell'ultima settimana ci abbiamo parlato quasi tutti i giorni: sì, è lei che guida il settore ma voglio una spiegazione dal sindaco», insiste Spinelli, «perché ci sono tante case sfitte che nessuno occupa. Il Comune dice che sono già assegnate e, allora, perché sono chiuse? Se vuole, posso fare un elenco dettagliato al sindaco delle case vuote».

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