«Io, un muratore proprietario di trenta gru»

Il patron della Saitem racconta la sua storia dal primo palazzo ai lavori per i grandi

MONTESILVANO. «Nel 1966 comprai la mia prima gru, mi sembrava di toccare il cielo. Oggi di gru ne abbiamo 30. L’anno dopo, nel 1967, cominciai a costruire l’hotel Hermitage a Silvi che all’epoca mi pareva già un grattacielo. Da allora, la mia è stata una scalata continua anche se dalla politica ho avuto soltanto danni. I politicanti di oggi? Con 10 mila euro, chissà quanti potrei comprarmene». Raffaele Di Giovanni, patron della Saitem, è uno che dice quello che pensa: del resto, a 70 anni, se uno ha cominciato da zero, facendo il muratore con i pantaloni corti, fino a tirare su un piccolo impero da 350 dipendenti può permettersi anche il lusso della franchezza.

«Nel 1956 lasciai la scuola per andare a fare l’apprendista muratore. Ero il primo figlio di un contadino e avevo tre fratelli e una sorella», racconta Di Giovanni, «bisognava aiutare la famiglia. All’epoca lavoravo anche di domenica soltanto per imparare il mestiere mentre, adesso, l’apprendistato si fa soltanto per interesse ma, così, le maestranze si estinguono. Il muratore di una volta sapeva fare di tutto, oggi è impossibile trovare un mastro».

Alla fine del 1962, il primo rischio da imprenditore: «Non avevo neanche vent’anni e diventai un cottimista in società con Sabatino Carletti. Ci chiamavamo Cadig e facevamo case rurali e piccole strutture in cemento armato. Piano piano, le nostre attività si svilupparono e nel ’66 comprai la mia prima gru: a Montesilvano non ce n’era neanche una a pagarla oro. Nel ’67 iniziammo a costruire l’hotel Hermitage a Silvi e, l’anno dopo, decidemmo di dividerci, ognuno per la sua strada, e io cominciai a fare l’imprenditore sul serio. Tra il ’68 e il ’69», continua l’imprenditore, «avviai i lavori all’istituto Don Orione, in via Aterno a Pescara, e costruii insieme a Walter Comani il primo palazzo a Pescara, in via Arapietra. Da quel momento iniziò una continua ascesa fino ad avere 350 dipendenti quando, a ridosso del 2009, abbiamo fatto il Villaggio Mediterraneo a Chieti Scalo». In mezzo una lunga lista di cantieri: «Abbiamo costruito la nuova sede Teca a Ortona», ricorda Di Giovanni, «ampliato gli stabilimenti De Cecco a Fara San Martino, lavorato con Dino Di Vincenzo e Walter Tosto e collaborato alla nascita del porto turistico di Pescara. Adesso, con la crisi che si fa sentire, la Saitem ha ancora 160 dipendenti . Lo spirito industriale mi ha sempre portato a guardare avanti puntando sulle nuove tecnologie senza girarmi al passato», dice Di Giovanni che rigira tra le mani un Iphone5, «ma ora non sarei capace di rifare tutto quello che ho fatto: è stata una vita di sacrifici».

Di Giovanni ripensa a quella Montesilvano che non c’è più: «Negli anni Cinquanta e Sessanta a Montesilvano non c’era niente. Poi, negli anni Settanta è arrivata quella porcheria lungo la riviera: troppi palazzoni attaccati, senza garage e senza parcheggi, a un metro e mezzo dai confini. Incredibile. Le amministrazioni comunali non sono quasi mai state al passo con i tempi e il risultato è che oggi le strade sono troppo strette, non c’è verde pubblico e i servizi restano quelli di una volta. Diciamo che gli imprenditori e ancora di più architetti e ingegneri hanno pensato più al proprio tornaconto personale che al futuro della città: si è lasciato fare a loro e hanno tirato su la Montesilvano che abbiamo oggi».

Imprenditore con il brutto vizio della politica: dal 1975 al 2006, Di Giovanni è stato consigliere comunale. «E nel 2001 mi sono candidato anche alla Camera dei deputati con l’allora Casa delle Libertà», ricorda, «era il collegio numero 11 con comuni del Pescarese e del Teramano, il più difficile di tutti perché dall’altra parte c’era un certo Franco Marini. Alla fine, sono rimasto fregato per una manciata di voti: mi hanno tradito gli stessi amici-nemici di Forza Italia del Teramano. Così ho capito che, in politica, è meglio avere un nemico dichiarato che tanti amici pronti a scavarti la fossa. A Montesilvano, però, contro Marini ho vinto io per 1.500 voti di scarto anche se il sindaco di allora era Renzo Gallerati, la peggior giunta della città. Oggi», dice Di Giovanni, «sono disgustato dalla politica: tutti parlano di interessi generali ma guardano alla propria pancia mentre la politica significa mettersi al servizio della gente. Io dalla politica ho avuto soltanto danni: se penso ai politici di oggi», ride, «dico che con 10 mila euro chissà quanti potrei comprarmene».

Anche adesso che avrebbe l’età della pensione, Di Giovanni continua ad alzarsi alle 6: «Per me non esistono ferie», dice. Ma fino a quando vuole lavorare? «Io penso che la vita non abbia mai fine: sarò costretto a morire combattendo sul campo. Guai a mollare». Tre figli _ Antonio, amministratore della Saicem, un’altra società di famiglia, la commercialista Deborah sposata con Vittorio Gervasi, e l’avvocato Cristina, moglie dell’ex candidato sindaco e consigliere Francesco Maragno _ e 8 nipoti: «Ma ora», dice l’imprenditore, «mi sto godendo i nipoti più di quanto abbia coccolato i miei figli, i bambini sono il nostro futuro».

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