Israele, quattro marsicani costretti a tornare in Italia

Sono dipendenti della Telespazio, tre uomini e una donna, tutti di Avezzano, hanno dovuto abbandonare d'urgenza lo stato di Israele a causa dei venti di guerra sempre più impetuosi

TEL AVIV. Quattro dipendenti della Telespazio, tre uomini e una donna, tutti di Avezzano, hanno dovuto abbandonare d'urgenza lo stato di Israele a causa dei venti di guerra sempre più impetuosi. L’azienda del gruppo Finmeccanica e la Farnesina hanno deciso di anticipare il rientro in Italia. I quattro, insieme a un gruppo di militari partito dalla base di Pratica di Mare, avevano raggiunto Tel Aviv una ventina di giorni fa e dovevano restare per tre mesi con lo scopo di compiere esercitazioni. «Da tre giorni la crisi si è aggravata», hanno raccontato i tecnici della Telespazio ad alcuni familiari in attesa ad Avezzano, «abbiamo sentito delle esplosioni e più volte hanno suonato le sirene che annunciavano il possibile arrivo di missili. Avevamo precise istruzioni anche per raggiungere i rifugi.

Le persone del posto convivono da anni con questo tipo di tensioni e lì è normale andare in giro anche con maschere antigas. Ma noi abbiamo avuto paura. Verso mezzogiorno di giovedì ci hanni allertato per il rientro e in fretta e furia abbiamo preparato le valigie. Tutto è andato per il meglio». I quattro marsicani hanno lasciato l’albergo, nei pressi dell'ambasciata italiana a Tel Aviv, e sono stati fatti imbarcare su un volo di linea che in serata è atterrato all'aeroporto di Roma Fiumicino. Grazie alla Telespazio sono rimasti in costante contatto con i familiari. Nei prossimi giorni dovrebbero rientrare anche alcuni militari. Qualche anno fa un’analoga tensione internazionale costrinse un gruppo di dipendenti della Telespazio a una precipitosa fuga dal Kenya. Anche in quell'occasione l'azienda con base nel Fucino dimostrò una grande professionalità a tutela dei propri dipendenti. Intanto, Benedetta Berti, analista del prestigioso “Institute for national security studies” di Tel Aviv, avverte sui rischi che comporterebbe inviare i carri armati nella Striscia. Secondo l’esperta, un’offensiva terrestre con i carri armati contro Gaza «tutt’al più potrebbe indebolire Hamas ma il costo dell’operazione sarebbe altissimo sia in termini politici sia come credibilità internazionale».

«E se venissero usati», aggiunge, «sarebbe probabilmente come nel 2008, all'epoca di “Piombo Fuso”, insieme a bulldozer per creare un “cordone” tra Israele e Gaza al fine di bloccare le zone da dove vengono lanciati razzi. Anche se ora i razzi in possesso di Hamas sono più a lunga gittata-range» rispetto al 2008, quindi la zona dovrebbe essere più vasta per fermare gli attacchi. Inoltre la campagna si concentrerebbe sulla distruzione di tunnel tra Israele e Gaza».

Per Berti «i carri armati sono anche un’arma psicologica per convincere Hamas ad accettare l'offerta di “calma per calma”. Ma penso che i tanks siano veramente l'ultima risorsa».

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