L’abruzzese lingua completa non solo dialetto

La linguista Roberta D’Alessandro spiega le differenze con l’italiano, dagli aggettivi ai verbi

di Roberta D’Alessandro

L’abruzzese non è un semplice insieme di dialetti. Quella abruzzese, dal punto di vista strettamente strutturale, è una lingua. O meglio, è una varietà linguistica, una lingua completa dal punto di vista grammaticale/strutturale, ma ovviamente incompleta dal punto di vista del vocabolario. Ovviamente, poi, non è riconosciuta politicamente, e non è una varietà di prestigio. Ma è una lingua.

Quando nei miei giri per il mondo o al Centro internazionale per lo studio dell’italiano e dei dialetti (Cisdid) con sede a Pescara parlo della nostra amata lingua, mi capita di porre, necessariamente, alcuni semplici esempi. E quello che mi piace di più riguarda le parole questo, codesto e quello, ovvero: queste, quesse e quelle! Alzi la mano chi saprebbe dirmi, così, su due piedi, il significato della parola codesto. Qualcuno di voi la ricorderà dai tempi della scuola, quando la maestra si affannava ad insegnarci che questo e quello non bastano, ma c'è anche codesto. Ma che significa codesto? Codesto è un toscanismo, che è percepito come arcaico e quindi ormai abbandonato nell'italiano contemporaneo, che significa "lontano da chi parla e vicino a chi ascolta". Se questo termine è oscuro per quasi tutti gli abruzzesi, il concetto che esso esprime non lo è affatto: codesto non è altro che quesse, cusse /quissu.

L'italiano ha un sistema di dimostrativi bipartito: specifica solo se l'oggetto è vicino o lontano da chi parla: questo (vicino a chi parla), e quello (lontano da chi parla. L'inglese ha “this” e “that”, il cinese “zhè” e “nà”, l'ungherese “ez” ed “az”, e così via. L'abruzzese (sia quello centrale-aquilano, che quello meridionale-costiero) specifica invece la posizione dell'oggetto sia rispetto a chi parla sia rispetto a chi ascolta: ha un sistema di dimostrativi tripartito. Diremo quindi: queste/quistu dal latino volgare eccu istu(m), se l'oggetto è vicino a chi parla; quesse/quissu dal latino volgare eccu ipsu(m) se l'oggetto è vicino a chi ascolta e lontano da chi parla, e infine quelle/quillu dal latino volgare eccu illu(m) se l'oggetto è lontano da entrambi.

E poi ancora: qualcuno vicino a chi parla è custù, custe/quistu; qualcuno vicino a chi ascolta ma lontano da chi parla è cussù, cusse/quissu; qualcuno lontano da entrambi è cullù, culle/quillu. E ancora: una donna vicina a chi parla: chistè, chiste/quista. Una donna vicina a chi ascolta: chissè, chesse/quessa. Una donna lontana da entrambi: chillè, chille/quilla. La specificazione rispetto al parlante e all'ascoltatore vale anche per gli avverbi di luogo: non solo qui e lì (aecche/eccu; aelle/ellu) ma anche "vicino a chi ascolta" (aesse/essu). Più raramente tale specificazione può riguardare anche gli avverbi: così (accuscì), così come fai tu (assescì), così come fanno loro ma non noi (alluscì). Ovviamente, non tutti i dialetti hanno tutte le forme, e le pronunce sono diverse a seconda della varietà, ma la tripartizione di fondo: vicino al parlante/vicino all'ascoltatore e lontano dal parlante/lontano da entrambi, è presente in quasi tutti i dialetti.

Tra le lingue che hanno un sistema dimostrativo tripartito come l'abruzzese ci sono, oltre allo spagnolo e al portoghese, l'armeno e il georgiano, l'ucraino, il giapponese, il tamil e il nandi (una lingua parlata in Kenya, Uganda e Congo).

Di rilievo anche l’uso dei verbi essere/avere in abruzzese. Per costruire il passato dei verbi in italiano abbiamo bisogno dell'ausiliare essere o avere: ho fatto, sono arrivato. In molti dialetti abruzzesi, invece, per formare il passato di un verbo li usiamo entrambi: so'fatte /so ffattu, ma poi a fatte/a fattu. La cosa strana è che noi scegliamo l'ausiliare a seconda del soggetto: io vuole essere (ji' so' fatte/magnate/durmite/zumbate in tutte le versioni), tu vuole essere (tu si fatte/magnate/durmite/zumbate), lui/lei/Maria/Giovanni/ecc. vogliono invece avere (esse/Marije a fatte/magnate/durmite/zumbate); noi e voi vogliono essere (nu seme/vu sete fitte/magnite/durmite/zumbite). Il paradigma più comune è quindi questo: se il soggetto è di 1ª e 2ª persona l’ausiliare è essere, se il soggetto è in terza persona l’ausiliare è in avere. Questo modo di distribuire essere e avere è tipico dei dialetti meridionali italiani, e di nessun’altra lingua romanza. La cosa strana è che ci sono lingue molto distanti dall’abruzzese che presentano una divisione simile: il basco, l’hindi e l’urdu, parlati in India e Pakistan.

©RIPRODUZIONE RISERVATA