L’inferno di Fontanelle raccontato da chi ci vive

Via Caduti per Servizio: citofoni bruciati , insulti e spaccio sul pianerottolo La denuncia di due inquiline: «Ci tengono in pugno con il terrore»

PESCARA. Li chiama soprusi, soprusi che uno dietro l’altro, ogni giorno per dieci anni, l’hanno imprigionata in un inferno. L’indirizzo è via Caduti per servizio 25, il rione di Fontanelle dove la porta di casa non sempre basta per delimitare il confine tra le persone perbene e chi non lo è. «Mi hanno staccato perfino la targa con il nome, dalla mia porta di casa», racconta Antonina Di Giovanni, 56 anni e le stampelle sempre dietro per una forma di polio a cui tiene testa con la dignità di chi non vuole arrendersi.

«Sono dieci anni che sopporto, in cui cerco di affrontarli direttamente, ma va sempre peggio, e allora passo alle denunce. Così non è più vita, o se ne vanno loro o me ne vado io, dopo 14 anni e 16 domande per cambiare l’alloggio sarà arrivato il momento anche per me, invalida al cento per cento e 43 metri quadrati condivisi con mio padre di 83 anni».

È con questa esasperazione che Antonina, affiancata dalla vicina Cinzia Sghettini, ha deciso di metterci la faccia e denunciare, «tanto peggio di così non può andare». Perché quando per prendere l’ascensore devi chiedere il permesso, quando se provi a protestare volano insulti e minacce, e quando rincasare a certe ore è un rischio che ormai nessuno vuole più correre «che cosa resta di normale in un palazzo con i citofono incendiati e il portone scardinato, dove quattro famiglie sono ostaggio di poche altre?».

È una quotidianità che mette i brividi quella raccontata dalle due donne nella sede dell’associazione Insieme per Fontanelle. «Tanto per dire l’ultima», dice Antonina, «ieri sera hanno appiccato un falò per bruciare tutta la spazzatura che buttano dalle finestre, mettendoci insieme anche plastica e gomme. Una puzza insopportabile, con mio padre che soffre di crisi respiratorie. Così che ti distruggono la vita». La musica sempre alta, le porte che sbattono, il pianerottolo usato come salotto allargato, così come il porticato e il sottoscala. «Hanno messo perfino il pollaio» va avanti Antonina, «con gallo, galline e papere. E neanche le curano. Addirittura se la sono presa con un addetto che era venuto a tagliare l’erba:lo hanno preso a parolacce perché secondo loro quello voleva spiare quello che facevano». Ma è proprio questo il punto. «Quello che fanno». Antonina e Cinzia ripetono una frase che lungo le scale rimbomba spesso: «Guarda che prima di venderla a te, l’ho provata io».

«Perché qui si spaccia eccome », dicono insieme, «e se per caso ti trovi a rientrare mentre ci sono i clienti devi pure aspettare, perché sennò sembra che stai a guardare». Raccontano della vedetta, dei tossicodipendenti che vanno a bussare anche alle loro porte, della pipì nell’ascensore e della luce e l’acqua rubata dai loro contatori: «Ma io non sto pagando per protesta: due bollette da 800 e 386 euro non le posso saldare neanche se volessi», afferma Cinzia Sghettini. E poi ci sono le angherie. Con la voce che trema, Antonina confida: «Lo vedono che non ce la faccio a camminare, dovrei usare la sedia a rotelle, e loro ci provano gusto a bloccarmi l’ascensore. Perfino la posta mi strappano, e di continuo vengono a suonare alla porta e scappano. E se protesti ti minacciano: ti uccido il cane, tuo padre lo strozzo. Così ci tengono in pugno, così ci mettono il terrore».

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