L'invasore di Montesilvano scrive al Centro dal carcere

Il Falco resta in carcere a Civitavecchia, la difesa chiede una perizia medica

È in carcere dal 28 dicembre e non si da pace. Mario Ferri, meglio noto come il Falco, l'invasore di campo seriale di Montesilvano, è ormai da più di due settimane in carcere. Tornato in Italia dopo l'ultima scorribanda sui terreni di gioco (l'invasione di campo durante la finale della Coppa del mondo per club vinta dall'Inter contro il Mazembe ad Abu Dhabi), è stato arrestato a Fiumicino per essere evaso dai domiciliari. Di trova rinchiuso nel penitenziario di Civitavecchia. Dal carcere ha inviato questa lettera al Centro.

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IL TESTO COMPLETO DELLA LETTERA


Ciao cari lettori del Centro, saluto anche il mio amico Pietro Lambertini.

Vi scrivo dal carcere di massima sicurezza di Civitavecchia. Come tutti avete ben visto e sentito io mi trovo qui, a causa delle mie invasioni pacifiche ma soprattutto per essere evaso dagli arresti domiciliari.

Innanzitutto, voglio dare un buon anno a tutti i miei concittadini di Montesilvano e Pescara. Un abbraccio caloroso alla mia famiglia e alla mia ragazza Gaia. P.s.: il 28 dicembre, prima di partire, sono stato in compagnia del Milan insieme all'ambasciatore e mi sono intrattenuto con Abate e Antonini. Purtroppo Cassano era alle visite mediche.

Ormai sono 5 giorni che il Falco è in gabbia e questo non è certo un bene, ma non mi sto avvilendo. Anzi, tutto ciò mi dà la carica per combattere quando sarò fuori di qui.

Come volevasi dimostrare, lo Stato italiano non usa mai il giusto metro di giudizio. Sentite questa: dopo essere stato arrestato all'aeroporto di Fiumicino, il tutto in un clima distensivo dalle forze del ordine (ringrazio il responsabile Digos di Pescara che mi ha assistito nei momenti dell'arresto) sono stato sbattuto in una cella fredda, con i sanitari distrutti e maleodoranti.

Ma la cosa bizzara viene dal mio compagno di cella: un signore di 60 anni che il giorno di Natale ha massacrato moglie e figli insanguinandoli di botte (tutto questo io l'ho letto sul verbale del suo arresto). La cosa pazzesca che mi fa schifo dello Stato italiano è questa: siamo entrati insieme, lui in un giorno di pace come il Natale ha sfondato di botte la moglie e i figli ed è uscito tre giorni dopo l'arresto; io sono ancora qui in questa topaia per delle semplici invasioni pacifiche, a volte pure nobili come nel caso di Sakineh.

Per non parlare del mio nuovo compagno di cella: un tunisino che ha le braccia tutte tagliate dalle lamette. Una volta, in passato, per protesta si è impiccato; un'altra volta, si è ingoiato delle lamette. Questo dice tutto.

Capito come mi tutela lo Stato? Zero rispetto per le persone che sono qui: quando uscirò, combatterò alcuni abusi di potere raccontati da alcuni detenuti. Pensate che il mio reato sia peggiore di picchiare tutta la tua famiglia il giorno di Natale? Senza contare gli scontri verbali da cella a cella che ho con gli ultrà della Lazio: solo dei luridi vermi.

Ce l'hanno con me perché sono di Pescara, ma ci sono quelli della Roma che mi difendono. Il mio è un lungo sfogo perché tra l'altro mi è stata attribuita la massima sorveglianza perché credono che io voglia fuggire da qui: di tutta questa vicenda mi dispiace per la mia famiglia, la mia donna, e i pochi veri amici che sono preoccupati per me. Ma loro già sanno che se sono entrato qui con due palle di legno ne uscirò con due di ferro!

Ogni notte penso che sono in un inferno ma Dio mi aiuta: ho incontrato un parroco mi ha regalato un rosario che adesso porto sempre con me. Quando uscirò, cercherò di combattere i sopprusi che mi vengono raccontati qui e, allo stesso tempo, lo Stato deve aiutare le guardie a essere più serene con uno stipendio migliore di cui loro si lamentano.

Qui le giornate non passano mai: pensate, porto gli stessi vestiti da una settimana, perché non mi fanno telefonare a nessuno. Ma io non mollo: sono sicuro che fuori di qui c'è qualcuno che combatte per la mia libertà.

Chiudendomi qui mi stanno facendo perdere il mio lavoro, la mia squadra di calcio, tutto in poche parole, eppure l'uomo picchiatore è gia libero. Perché?

Un ultimo avviso va ai giovani come me: dobbiamo svegliarci, contribuire e collaborare con quelli che comandano sennò saremo sempre delle larve senza pensiero sulle spalle dei nostri genitori. Dobbiamo cacciare le palle: viviamo di passato.

Altri ringraziamenti vanno al mio amico Lele Mora che mi è stato vicino con una lettera e al mio avvocato Angelo Pettinella recatosi qui a Roma il 31 dicembre nel tentativo di farmi uscire. E un grazie al Caffé Carducci che ha sostenuto le spese durante la mia avventura di Abu Dhabi. P.s.: ho passato il Capodanno da solo nella mia cella ma risorgerò dalle mie ceneri.

Ho 23 anni la mia vita è lunga.

Un bacio alla mia mamma.

Per chi volesse mandarmi una lettera può inviarla a Nuovo complesso cc carcere di Civitavecchia, via Aurelia nord Km 79,500, cap 00053 Civitavecchia (Roma).

Cara redazione e Pietro Lambertini, sarei eterno debitore se poteste pubblicare questa lettera sul vostro giornale e, in seguito, passarla, chiamando l'Ansa, al mio amico Luca Laviola (settore sport).

Un buon anno dal carcere.

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