«L’isola felice si può raccontare ai bambini»

Il procuratore antimafia Renzo commenta l’inchiesta: «Nessun confidente, solo investigazioni»

CHIETI. L’Abruzzo, una terra immune dalle infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso? Una terra nella quale, tutt’al più, mafia, ’ndrangheta e camorra arrivano solo di riflesso, senza dare luogo a insediamenti stanziali? No, non la pensa esattamente così il procuratore distrettuale antimafia, Michele Renzo, che lo scorso novembre si è insediato alla guida della Dda aquilana. Descrivere l’Abruzzo come l’isola felice, una definizione molto abusata in passato, secondo il procuratore, «è una cosa che si raccontava ai bambini 30 anni fa. Questo (riferendosi alla storiella dell’isola felice, ndr), non lo ha mai detto nessuno, non lo ha mai pensato nessuno. Tra l’altro», incalza, «benchè io sia nuovo, so bene che sono state moltissime le operazioni di contrasto, diciamo, ad altre associazioni di questo tipo. Oggi non ci crede più nessuno all’isola felice, in Italia non esiste un’isola felice, anzi, la calma è il luogo ideale per chi vuole mascherarsi». L’indagine che ha portato alla luce le attività della consorteria criminale, che per stessa ammissione degli investigatori, paradossalmente, godeva persino di consenso sociale, è arrivata al culmine di una complessa e paziente attività investigativa.

«Una lunga indagine», ha aggiunto il procuratore Renzo, «piuttosto complicata, come lo sono tutti i nostri lavori che richiedono un lungo periodo di studio dei soggetti, dei fatti. Siamo particolarmente soddisfatti in questo frangente, perché nasce tutto da attività investigativa, non ci sono stati confidenti, ma è stata tutta investigazione pura». Un’altra indagine, in precedenza, denominata proprio “Isola felice”, ha evidenziato l’esistenza di un’altra organizzazione ben radicata nel territorio, quella del clan Ferrazzano. L’attività che ha portato agli arresti di ieri testimonia, dunque, l’esistenza di sodalizi criminali che dalla Calabria hanno scelto Chieti come polo di aggregazione, dal quale far partire le rispettive attività.

Che l’Abruzzo fosse il crocevia di traffici gestiti dalle organizzazioni malavitose era noto da tempo, così come era abbastanza prevedibile che prima o poi questi “attraversamenti” potessero mutare in qualcosa di più stanziale, organizzato. Eppure, fino a pochi anni fa, qualcuno rassicurava, contando sul tessuto sociale sano, che non avrebbe permesso alla criminalità organizzata di attecchire. Cosa è cambiato, nel frattempo? (a.bag.)

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