La storia del marchese che creò l’aeroporto

Il nobile Farina e la grande villa di piazza XX Settembre dove nacque l’idea

PESCARA. Se volessimo assegnarle un nomignolo, dovremmo chiamarla «piazza delle innovazioni». Nessun’altra espressione si addice di più a piazza XX Settembre, che nel corso degli anni ha cambiato nome due volte, ed è diventata prima piazza Cicerone e infine piazza Emilio Alessandrini, in ricordo del magistrato ucciso dai terroristi di Prima linea nel 1979.

Nella foto che il Centro regala oggi potete vederla com’era nella prima metà del secolo scorso, quando ancora non vi era stato eretto l’edificio del vecchio tribunale. Le villette liberty che appaiono sullo sfondo esistono tuttora. Sulla sinistra si scorgono le aiuole della villa del marchese Farina, e al centro troneggia l’obelisco bianco innalzato in onore del conte di Ruvo. Ciascuno a suo modo, come vedremo, questi due personaggi contribuirono a imprimere alla piazza il suo carattere «progressivo». Ma andiamo con ordine.

 UN’ESTATE FESTOSA. Il 7 agosto 1910 fu un giorno speciale: durante la festa di san Cetteo si spararono fuochi pirotecnici, e di sera la luce elettrica illuminò la pineta e il lungofiume. Da piazza XX Settembre, che proprio quel giorno veniva inaugurata, s’involarono palloni aerostatici, alcuni con scritte umoristiche. Due aviatori francesi, Freye e Barrier, si esibirono in acrobazie, ma prima passarono in macchina a ricevere l’applauso della folla.

All’improvviso Barrier incappò in una tromba d’aria, ma si salvò. Il 14 agosto, nella stessa piazza, venne scoperta la fontana monumentale che celebrava il completamento dell’acquedotto: dopo decenni di acqua non potabile, la buona acqua della Maiella sgorgò per la prima volta dalla fontana, e poi, 51 litri al secondo, dai rubinetti delle case dei pescaresi. Dopo l’inaugurazione, i notabili locali si recarono al nuovo teatro Michetti per assistere a una rappresentazione del «Werther» di Massenet.

Non era un anno qualsiasi, il 1910: era il cinquantenario del Regno d’Italia, e tutti i comuni del patriottico Abruzzo facevano a gara per festeggiarlo nel modo migliore.

 IL CAMPO D’AVIAZIONE. Su piazza XX Settembre s’affacciava la villa del marchese Giovanni Farina, un liberale conservatore ostile alla politica del sindaco giolittiano Luigi Clerico. Alla fine del 1914, Farina divenne sindaco alla guida di una curiosa coalizione di radicali e moderati, accomunati dall’avversione al giolittismo. Dalla sua villa, il marchese doveva fare solo pochi passi per arrivare al municipio della vecchia Pescara, in via dei Bastioni. E forse fu proprio lungo quel percorso che egli ebbe l’idea alla quale sarebbe rimasto legato il suo nome.

Pur avversando la precedente amministrazione, egli aveva apprezzato le trattative che Clerico aveva intavolato col ministero della Guerra per destinare a un campo d’aviazione un terreno paludoso che si stendeva fra il Mare vecchio e il Kursaal della pineta. Il ministero avrebbe potuto accollarsi la bonifica della zona, e gli introiti avrebbero permesso di migliorare e ampliare la rete stradale della città.

Ma le trattative avviate dall’amministrazione Clerico si arenarono perché il governo attraversava un periodo di magra. Il nuovo sindaco capì che, per ripetere la proposta, occorreva aspettare il momento opportuno. E il momento opportuno si presentò con l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale. Il 27 luglio 1916 il reparto costruzioni edilizie dell’Aeronautica di Torino chiese a Farina se si poteva edificare il campo fra Pescara e Ortona.

Farina rispose che sarebbe stato meglio sfruttare solo Pescara, perché le colline rendevano inadatta la zona fra i due comuni. Gli ufficiali della Direzione generale, mandati in ispezione, scelsero infine nove ettari ad ovest di Pescara, dopo Villa del fuoco. Ma la delibera della giunta provinciale non arrivò che il 12 aprile 1917. Le incursioni aeree di maggio nella vallata della Pescara non incontrarono alcuna resistenza e poterono fare quattro morti. Il 26 ottobre la «Sezione difesa di Pescara» prese posto nel campo appena aperto.

Il campo fu dotato di velivoli dell’ultima generazione, i famosi SVA, che per la loro perfezione tecnica erano considerati i migliori caccia bombardieri del mondo, dotati nientemeno che di camere fotografiche automatiche. La loro lunga autonomia aveva permesso, fra l’altro, a D’Annunzio di portare a termine il suo raid aereo su Vienna. La cittadinanza pescarese, fervida di patriottismo, e soprattutto già dotata di buon senso degli affari, accolse la novità con gioia.

 I GIACOBINI. Nella foto di piazza XX Settembre compare anche la stele dedicata al conte di Ruvo. Questi visse più di un secolo prima di Farina, ma fu animato da uno spirito di progresso ancora più grande. La sua storia, infatti, s’intreccia a quella della Repubblica napoletana che i rivoluzionari francesi istituirono nel 1798. La fortezza di Pescara faceva parte del regno di Napoli, e i francesi vi entrarono nel giorno di Natale, venendo da Torre di Palma dove avevano sconfitto Ferdinando IV di Borbone.

Quando il comandante Girard, introdotto bendato nella fortezza, intimò la resa, gli fu risposto con un rifiuto. Gli assediati lo sbendarono e gli fecero passare davanti sempre gli stessi uomini, ma con uniformi diverse per fargli credere che fossero di più. Ma, giunta la sera e resisi conto di essere in pochi, si arresero. Il 28 dicembre il comandante francese Guglielmo Dusheme divise l’Abruzzo in due distretti con capoluoghi a Teramo e Chieti, ma soggetti a un consiglio superiore di cinque uomini con sede a Pescara. Ma a fine aprile i francesi dovettero correre a tamponare l’offensiva che l’Austra e la Russia avevano sferrato loro in patria. A presidiare L’Aquila, Pescara e Civitella del Tronto rimase la legione napoletana guidata da Ettore Carafa, duca di Andria e conte di Ruvo.

I libri di storia raccontano che la Repubblica napoletana crollò non sotto l’assalto del re, ma per l’insurrezione del popolo, ostile alle idee repubblicane e favorevole alla restaurazione. Carafa giunse a Pescara il 26 aprile 1799, ma già il primo maggio era assediato sia dall’esercito regio che dalle masse filoborboniche. Il 30 giugno l’esplosione di una granata causò quasi un eccidio: Pescara capitolò. Al conte di Ruvo fu concesso di aver salva la vita, ma il re in persona revocò il provvedimento, e sulla nave che doveva portarlo in esilio, Carafa fu catturato. Stette in carcere a Napoli, con un collare che gli impediva di coricarsi e di dormire, finché il 4 settembre, distrutto nel fisico ma con grande dignità, affrontò il patibolo in piazza del Mercato.

 IL «DELITTO». L’idea di «progresso», che benedisse piazza XX Settembre fin dal principio, fu anche causa della sua rovina. Il 10 febbraio 1949, nell’ambito dei lavori di ricostruzione della città devastata dalla guerra, il consiglio comunale approvò la costruzione del nuovo tribunale proprio nella piazza. A chi definiva la delibera «un delitto», la maggioranza rispose che in quella piazza non c’era niente di bello, solo «una fontana diroccata»: quella che, nella festosa estate del 1910, aveva portato per la prima volta l’acqua della Maiella.