La vergogna del porto chiuso da un anno

Dal 2009 la marineria è ostaggio di promesse e rinvii, guasti, sequestri e lavori che iniziano e poi si fermano

PESCARA. Dragaggio, porto, Pescara. Tre parole che, insieme, negli ultimi quattro anni hanno affollato le pagine degli archivi stampa. Tre parole che interessano centinaia di uomini e donne; famiglie che, oggi è un anno, sono a braccia conserte perché in mare non possono andare. Da 365 giorni il porto commerciale di Pescara è chiuso. Scatta domani l’anno esatto dalla firma dell’ordinanza di chiusura del porto firmata da Luciano Pozzolano. È datata 13 febbraio, ma per effetto del 2012 bisestile, 365 giorni li compie oggi. Un fermo che, però, è solo l’ultimo capitolo di una storia che si trascina da anni.

Il primo annuncio. È agosto del 2009, l’imminente dragaggio è stato già annunciato. Ma non parte, tanto che nove mesi dopo i giornali parlano di «dragaggio bloccato da due anni». E già si rincorrono le voci degli armatori previdenti: il porto sta morendo, dicono nel 2009. A giugno del 2010 viene annunciata la prima gara, per affidare i primi 10mila metri quadrati di lavori.

L’appalto lo vince la ditta Nicolaj, ma i lavori non partono. I problemi sono due: da un lato ci sono disguidi burocratici, dall’altro c’è l’interrogativo sullo stoccaggio del materiale dragato. Dove buttare i fanghi? Di mese in mese slitta l’inizio dei lavori fino a che, a settembre, viene pubblicata sul Bura la procedura di escavazione per diecimila metri cubi. Ma la draga che doveva partire a ottobre non parte neanche a novembre. E si arriva a dicembre. Se ne interessano il Ministero, la Regione, la Provincia, il Comune.

E proprio sul finire del 2010 torna la speranza tra gli armatori che nel frattempo continuano a incagliarsi con le barche all’imboccatura del porto dove l’acqua è più bassa di un metro.

Il primo stop. I lavori partono ma, pochi giorni dopo, arriva lo stop del ministero delle Infrastrutture: serve una variante al progetto di escavazione. La burocrazia va avanti a singhiozzi fino a gennaio, poi il governatore Gianni Chiodi chiede lo stato di emergenza e spunta la possibilità di affidare tutti i poteri sulla questione ad Adriano Goio, già commissario delegato alle opere del bacino del fiume Aterno. I pieni poteri a Goio vengono affidati a febbraio del 2011, ma nel frattempo gli armatori restano a terra, esasperati. Al tentativo disperato di lavorare si associano giornate di forte protesta contro le istituzioni.

La draga parte e si ferma. Il dragaggio riparte a maggio, poi si ferma, poi ricomincia. Ma la draga va piano, e di questo passo ci vorranno due anni. Nel mese di maggio del 2011 il presidente della Provincia Guerino Testa si candida a commissario straordinario per il fiume e viene nominato commissario per il porto a giugno. Intanto, la Snav lascia Pescara per Ortona. E il 7 giugno il dragaggio si ferma di nuovo. Lavori inutili dicono dai Palazzi, serve un nuovo bando. E così ancora, in un rimpallo di responsabilità, fino a dicembre.

Blitz e sigilli. Sul finire dell’anno arriva la draga più grande d'Italia, la Gino Cucco. Draga in 50 giorni più di 72mila metri cubi di fanghi. Nuova speranza, ma anche questa volta è vana. La draga inizia a lavorare il 12 dicembre, ma contestualmente arriva il blitz dei carabinieri del Noe che mettono i sigilli: il sequestro è disposto dal gip del tribunale dell’Aquila su richiesta della procura distrettuale antimafia. Si sospetta la presenza di pesticidi nei fanghi dello scalo. E scattano nuove analisi. L’Arta dice che i fanghi sono puliti, il tribunale del riesame dissequestra la Gino Cucco, e nel frattempo tutta la città è solidale alle sventure della marineria.

Il porto chiude. Ai primi di febbraio, per il vento, la Cucco rompe gli ormeggi e si danneggia. Deve essere riparata e pochi giorni dopo lascia il porto di Pescara. Si arriva così al 13 febbraio, quando il direttore marittimo chiude il porto. Il 12 maggio Guerino Testa si dimette da commissario, ma nel frattempo continua a occuparsi della questione rimanendo a stretto contatto con gli armatori e le istituzioni. Nel mese di luglio la festa di Sant’Andrea deve rinunciare alla tradizionale processione in mare. E ad agosto Legambiente dice, a proposito del porto di Pescara che è «un caso nazionale».

Nuovo bando. In due anni sono stati spesi quattro milioni e mezzo di euro e persi 74 posti di lavoro. Oltre al problema ambientale c’è da risolvere quello degli ammortizzatori sociali per gli uomini del mare. Ricomincia la trafila, nel frattempo viene predisposto un nuovo bando. Il ministero annuncia lavori alla fine dell’estate, ma a ottobre è ancora tutto fermo e gli armatori tornano a protestare gettando cassette di pesce marcio davanti al Comune. I lavori vengono assegnati a novembre alla Sidra, i fanghi finiranno in Belgio. Ma la data del cantiere slitta ben oltre Natale. Si arriva al 2013. I lavori vengono consegnati il 15 gennaio ma l’8 febbraio, solo pochi giorni fa, l’ennesimo slittamento: la draga, nel suo viaggio verso Pescara, si blocca a Rimini per il maltempo. È l’ennesima beffa.

Paola M.S. Toro

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