Lanfranco e Fabrizio, addio agli alpinisti

Funerali a Pescara e a Penne: bare portate dagli amici del soccorso, zaini e scarponi per i giovani travolti da una valanga

PESCARA. «Celebro il funerale di Lanfranco in comunione con quello di Fabrizio», ha detto padre Ugo nella chiesa di Sant’Antonio a Pescara dove il dolore della famiglia Castiglione si è unito a quello dei familiari di Di Giansante salutato a Penne, nella chiesa di Santa Maria del Carmine, allo stesso orario. Chiese gremite per i due alpinisti – Lanfranco Castiglione di 25 anni e Fabrizio Di Giansante di 36 anni – morti sul Monte Pratello a Rivisondoli travolti da una valanga.

L’addio a Castiglione. «Eri un giusto, eri un “figo” come piaceva dire a te. L’unico caso in cui un cugino era diventato mio fratello. Stavolta la montagna si è tenuta la tua vita ma ti ricordiamo con il sorriso in questi che sono i giorni più tristi della nostra vita». Dopo l’omelia di padre Ugo è stato il cugino di Castiglione a salire sull’altare per leggere poche righe dedicate all’alpinista – «Dio quanto ci manchi» – di fronte alla bara in cui, a terra, erano stati posati gli scarponi e lo zaino da montagna. A stringersi attorno alla famiglia del giovane trovato morto rannicchiato sotto un metro di neve, c’era una chiesa colma di gente: tanti ragazzi, gli amici di Castiglione che hanno indossato la giacca a vento da montagna, professionisti e rappresentanti dell’amministrazione arrivati a salutare il papà Nicola Castiglione, promotore finanziario, la mamma Valentina Salvatore insieme alle altre due figlie Claudia e Giuliana. Gli amici del soccorso alpino e speleologico hanno portato la bara di Lanfranco dopo che padre Ugo, durante l’omelia, aveva raccontato chi era il giovane: «Un ragazzo solare, un amante della vita ed è per questo che gli piaceva la montagna: un ragazzo buono», ha detto il sacerdote nella chiesa in via Regina Elena gremita, con tantissima gente rimasta in piedi. «Forse oggi sono rimaste solo le lacrime», ha proseguito padre Ugo in una cerimonia composta, affollata da tanti amici di Lanfranco a cui il sacerdote si è rivolto: «Lanfranco ci dice di credere alla vita eterna, che la morte non distrugge l’amore e che la sua bara è solo un passaggio: lo dico ai giovani», ha detto padre Ugo, «voglio dirgli che Lanfranco ha aperto una strada per tutti dando la possibilità di incontrare il Signore e di entrare nel mistero della vita». E’ attraverso la montagna, per il padre, che «Lanfranco ha mostrato l’amore verso Dio: è difficile dare una parola di speranza, è difficile parlare di vita di fronte a una bara ma è Lanfranco a chiedercelo». Un’omelia commossa per ricordare l’appassionato di montagna, celebrata nello stesso orario in cui a Penne veniva dato l’addio a Di Giansante.

L’addio a Di Giansante. È stato un ultimo saluto straziante quello che la città di Penne ha riservato all’escursionista 36enne morto sul Monte Pratello. Il feretro di “Bijou”, così Fabrizio era conosciuto in paese, è stato portato a spalla dai suoi amici del soccorso alpino e speleologico di Penne, quelli del Cai, gli stessi che hanno provato a ritrovarlo ancora in vita su quel maledetto costone del Pratello. Stracolma di gente, soprattutto di giovani la chiesa di Santa Maria del Carmine. Al rito funebre, celebrato da padre Orazio assieme a don Giorgio Moriconi, don Celestino, don Antonio e padre Fabrizio, ha partecipato tantissima gente: gli amici di mille avventure a semplici conoscenti. A testimoniare quanto Fabrizio fosse amato, fosse una brava persona e soprattutto un “grande” della montagna, la presenza a Penne anche dei ragazzi del soccorso alpino dell’Aquila, degli uomini della forestale e della polizia. In uno dei suoi pomeriggi più dolorosi, degno del lutto cittadino proclamato dal sindaco Rocco D’Alfonso, Penne si è stretta con compostezza, rispetto e affetto attorno alle famiglie Di Giansante e Filippone, in particolare alla sua giovane moglie Francesca e ai genitori e ai fratelli di Fabrizio. Ad accogliere il feretro di Bijou sul portone d’ingresso della chiesa c’erano i ragazzi della Condor, con i quali Fabrizio condivideva la passione per l’arrampicata sportiva. Durante la celebrazione padre Orazio ha sottolineato il coraggio di Fabrizio, il suo sorriso contagioso, la sua forza nel mettere la propria vita sempre in pericolo per salvare il prossimo. Nessuno degli amici più intimi ha avuto la forza e la voglia di proferire verbo.

La tragedia è ancora troppo fresca per non tramutarsi rapidamente in lacrima. I tanti ricordi belli di Fabrizio sono ancora lì, nelle menti dei suoi cari, ad ingigantire il dolore per aver perso per sempre quei suoi occhi allegri, quel suo sorriso che sapeva di buono e quella sua viscerale passione per la montagna. (p. au . e f. bel.)

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