Lolli: «Il territorio deve difendere le sue imprese» 

Il vice presidente della Regione: perdiamo credibilità nei confronti degli investitori se permettiamo senza colpo ferire che questi nostri gioielli ci vengano portati via

PESCARA. «L’Abruzzo non può permettersi di perdere le sue aziende. Il territorio deve difenderle, perché sono lo zoccolo duro sul quale puoi costruire le condizioni per attrarre altre aziende. Sono anche contrario a ogni atteggiamento fatalista, perché la politica industriale si fa attraverso scelte soggettive. E noi dobbiamo essere al fianco dei lavoratori e delle imprese serie». L’assessore regionale Giovanni Lolli è reduce dall’ultimo dei tanti incontri che tra L’Aquila e Roma lo impegnano ai tavoli delle numerose crisi aziendali aperte in Abruzzo. Negli ultimi mesi la sua preoccupazione è aumentata perché ha notato un aumento dei casi. «In tre anni ho affrontato 109 crisi aziendali, in gran parte le ho affrontate nel primo anno e mezzo, poi si sono diradate, e ho potuto dedicarmi ad altri temi come i nuovi investimenti. Recentemente, negli ultimi mesi si è assistito a una recrudescenza».
Si è spiegato perché?
«Probabilmente perché sono cambiati gli ammortizzatori sociali e sono aumentati i costi per le aziende. La cosa pone problemi seri. Certo, di imprese che investono ce ne sono: una grande parte della media e grande impresa funziona, ma sono molto colpito dal fatto che le crisi stanno interessando anche aziende solide».
Quali?
Le crisi più clamorose sono quattro: la Dayco, la Hatria, la Intecs, la Honeywell».
Partiamo dalla Dayco, forse la meno preoccupante.
«Dayco ha 700 lavoratori in tre stabilimenti, a Manoppello Chiesti Scalo e Colonnella. Dayco aveva annunciato 135 esuberi, i lavoratori hanno protestato, stiamo stati al tavolo nazionale e venerdì in Regione abbiamo firmato l’accordo perché l’azienda ha dichiarato un piano di investimenti che dimostra che lì c’è un’idea di futuro. Il piano si è concretizzato in un bando da 5 milioni di euro attraverso il quale Dayco farà investimenti in nuove tecnologie e si impegna a non andarsene. Certo, loro continuano a segnalare problemi, soprattutto un problema di costi eccessivi, ma ha trovato un sindacato disposto a discutere. Non con licenziamenti coattivi, ma sulla base di un progetto strategico per i quali valga la pena fare anche sacrifici».
Diversa la vertenza Hatria.
«È la vertenza più dura. Hatria è un’azienda storica di Teramo, impiega 186 lavoratori e ha dichiarato 55 esuberi. I problemi li ha da anni e nessuno li nega. E ora è finita anche la Cassa integrazione. Martedì sera abbiamo incontrato l’azienda assieme al sindaco di Teramo e al presidente della Provincia e ci siamo trovati di fronte a un muro. Ora, se tu mi fai vedere un piano di investimenti e togli i licenziamenti coattivi, gli strumenti li trovi, altrimenti... Per esempio guardiamo all’accordo che abbiamo fatto con Briori. Lì si partiva da 500 licenziamenti. Alla fine ne sono andati a casa 150 con incentivi e in maniera volontaria. Ma per me c’è un’altra ferita».
Quale?
«La Intecs dell’Aquila. È un centro di ricerca glorioso, ex Italtel ed ex Siemens. Oggi ha 80 addetti. Si tratta di ricercatori che hanno contribuito a realizzare alcuni dei prodotti più innovativi delle telecomunicazioni italiane. L’altro giorno Intecs ha dichiarato che chiude. L’azienda ha problemi, è innegabile, però ancora una volta, quella non può essere una soluzione accettabile. Ora io sto lavorando molto per vedere se riusciamo a riassorbire parte dei lavoratori. Ma la crisi più grave riguarda la Honeywell, un’azienda formidabile di turbocompressori».
Però lì la natura della crisi è diversa dalle altre.
«L’azienda di Atessa ha sviluppato 125 codici, cioè 125 nuovi prodotti certificati, 25 l’anno. L’impresa gemella in Francia ne ha sviluppati 20. È dunque un’azienda di primissimo ordine. Ora Honeywell ha cominciato a replicare questi codici in uno stabilimento in Slovacchia. Francamente mi sembra una cosa inaudita, perché alla fine tu l’azienda di Atessa me la chiudi. Su questo abbiamo provato più volte, noi e anche il ministro Calenda in persona, a discutere, a chiedere un progetto serio di sviluppo, ma loro hanno un progetto industriale debolissimo. E ora i lavoratori sono in sciopero a oltranza».
Ora lei dice, queste aziende, e non solo queste, vanno salvate, perché ne va del futuro dell’intera regione.
«Io lavoro per far crescere le imprese, per spingerle a investire soprattutto in nuove tecnologie. Ma noi non avremmo nessuna credibilità nel presentare il nostro territorio come un territorio dove conviene investire, se permettessimo senza colpo ferire che ci vengano portate via, per strategie incomprensibili, aziende che sono i nostri gioielli di famiglia come la Honeywell».
Che cosa può mettere sul piatto la Regione?
«Le convenienze: un ambiente sano, lavoratori capaci, risorse e strumenti a disposizione come la Zes, e un territorio che accoglie le imprese con la schiena dritta, senza subire soprusi e scelte incomprensibili. In questo senso Honeywell sarà una cartina al tornasole». (a.d.f.)