«Melma e dragaggio siamo condannati»

La rabbia di venditori e pescatori: spesi 4,5 milioni per niente

PESCARA. Adele Giorgini vende pesce sulla banchina del porto di Pescara da quando aveva 13 anni e gli scampi, i calamari e i totani si mettevano dentro le ceste di vimini. Oggi la signora Adele di anni ne ha 67 e dice: «Mai visto il porto così», racconta indicando, dalla sua bancarella, lo strato di melma, alghe e rifiuti che ricopre la foce del fiume e condanna il porto alla paralisi. Ieri, neanche San Pietro e San Paolo hanno fatto la grazia: nessuno è intervenuto per pulire e la promessa del provveditore alle Opere pubbliche Donato Carlea è caduta nel vuoto. Chissà se nell’impresa ci riuscirà Sant’Andrea. Ma il patrono dei pescatori ha già i suoi guai: la processione delle barche del 29 luglio prossimo potrebbe saltare proprio per colpa del fondale del porto troppo basso causa fanghi inquinati.

«Porto palude». «A 13 anni», spiega Giorgini, «in quest’acqua ci venivamo a lavare le lenzuola. Oggi c’è una sporcizia incredibile che tutti fanno finta di non vedere». Basta un giro sul ponte del Mare per capire quanto è grave la crisi del porto: melma, alghe e rifiuti in primo piano e torri sullo sfondo. «Proprio qui», dice il marito, Cetteo Candeloro, una vita passata a vendere il pesce fino alla pensione, «da ragazzi ci favevamo i tuffi. Adesso, è impensabile: la foce e il porto sono una palude». E le sabbie mobili del porto intrappolano e strangolano l’economia della città: in 16 mesi, sono almeno 74 i posti di lavoro persi e ammonta a 1,8 milioni di euro il giro degli affari bruciati. È una mazzata che colpisce tutti senza distinzioni, un po’ come la “livella” di Totò: dai pescatori e venditori delle “scafette” fino agli imprenditori, con le navi petroliere e commerciali costrette a ripiegare al porto di Ortona, e ai turisti, rimasti senza il collegamento del Pescara jet con la Croazia. «Mio figlio ha 42 anni», racconta ancora Adele, «e si è imbarcato quando ne aveva 15 per fare il pescatore. Oggi ha 2 figli e, per andare avanti, i soldi non bastano mai».

Dragaggio farsa. Finora, la farsa del dragaggio è costata 4,5 milioni di euro: «Uno scandalo», è la voce di protesta della marineria. Una montagna di soldi con un risultato: il porto è al collasso, al centro di un contenzioso di analisi sui fanghi inquinati. E l’Arta ha appena speso quasi altri 26 mila euro di soldi pubblici per comprare un altro macchinario per le analisi: si chiama gascromatografo ecd.

Il porto è perduto ma il pesce sui banchi del mercato ittico c’è ancora: andrà avanti così fino al prossimo 6 luglio quando la marineria incrocerà le braccia davanti al mancato dragaggio: un mese di stop perché il porto è diventato una vasca da bagno pericolosa e poi un altro blocco, fino al 4 ottobre prossimo, per il fermo biologico. La marineria si prepara alle ferie forzate. Sulle bancarelle, il pesce non mancherà ma, di certo, non sarà quello pescato dai pescaresi.

«Il motore della città». «Per una città come Pescara, il porto è vita», dice Antonio Collini, dal suo banco al mercato ittico, «il mare è il motore dell’economia e, per questo, serve una svolta. Così, non si può andare avanti. Se si ferma il porto, si blocca la città. La nostra flotta ha quasi 80 natanti ma le istituzioni non ci considerano». Collini racconta i disagi di chi va in mare per lavorare: «Il fondale basso è un pericolo, poi, può causare la rottura delle eliche e dei motori. Per i pescatori, il mancato dragaggio», spiega, «è come trovarsi un muro davanti o come se, all’improvviso, sparisse la strada da sotto i piedi». Se continua così, prevede Collini, «le barche se ne andranno da Pescara: il porto che è casa nostra e ci stanno sfrattando».

«Pubblicità pessima». «Noi amiamo la nostra città», dice un altro venditore, Giacomo Pennese, «lo stato di degrado del porto è una pessima pubblicità per Pescara. Tutti quelli che vengono al mercato, guardano verso il fiume e vedono la melma verdastra. È evidente che, di fronte all’emergenza, non c’è stata una risposta efficace. Speriamo che dopo lo stop forzato e il fermo biologico, si trovi una soluzione altrimenti il porto sarà condannato a morte». Pennese lancia un appello: «Spero che Comune, Provincia, Regione e anche il governo intervengano. Il premier Mario Monti deve capire che il porto è una montagna di problemi». E i clienti che dicono del prato che cresce sull’acqua? «E che ci dicono, che tra un po’ possiamo allevare le rane, altro che pesci. Le zanzare, invece, ci sono già. Pulire la melma? Non è una grande opera». «Il porto in questo stato rovina l’immagine di Pescara e danneggia il turismo», dicono Nino e Roberto Marini, al banco della pescheria Le Caravelle, «qualcuno dovrebbe mettere un cartello sulla banchina: qualcuno potrebbe scambiare quella melma per un prato e decidere di farsi una camminata ma di Cristo», sottolineano, «ce n’è soltanto uno. Mai visto un degrado così». «Sto qua dal 1953, da quando mi sono sposata», racconta anche la pescivendola Irene, «e anch’io uno scandalo del genere non l’ho visto mai».

Prezzi e crisi. Aspettando gli ultimi pescati delle barche pescaresi, i banchi del mercato sono pieni: la frittura parte da 5 euro al chilo, 8 euro per i moscardini, 10-12 per gli scampi, da 12 a 15 per i merluzzi. «Ma le vendite sono in calo», è il coro dei venditori e pescatori, «c’è la crisi e si sente».

«Intervenga Monti». Con il porto sommerso dalla sporcizia, il presidente della Regione, Gianni Chiodi, chiede ai sottosegretari Tullio Fanelli (Ambiente) e Guido Improta (Infrastrutture) di «convocare un nuovo incontro» sullo scalo dopo l’ultima riunione del 7 giugno scorso. Chiodi chiede al governo «una presa di posizione chiara e inequivocabile. Vogliamo sapere», dice, «se esiste una effettiva volontà del governo di ripristinare le funzionalità del porto. La competenza è dello Stato».

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