la tragedia di Fontanelle

Morta nel sottopasso a Pescara, quattro indagati

Chiusa l’inchiesta sul decesso di Anna Maria Mancini nell’auto bloccata dall’acqua, la procura ipotizza l’omicidio colposo e il falso: “Le elettropompe installate erano inadeguate”

PESCARA. «Nel sottopasso di Fontanelle dove è morta Anna Maria Mancini sono state installate due elettropompe con caratteristiche di potenza, portata e prevalenza nettamente inferiori a quelle previste dal progetto». E’ la procura a spiegare cos’è accaduto nel giorno in cui Pescara è stata messa in ginocchio dall’alluvione e perché una donna di 57 anni, all’alba del 2 dicembre 2013, è stata ingoiata dall’acqua in un sottopasso. Dopo un anno di lavoro il pm Silvia Santoro, che ha coordinato le indagini dei carabinieri alla guida del capitano Claudio Scarponi, ha impresso la sua versione sul dramma del sottopasso di via Fontanelle firmando l’avviso di conclusione delle indagini in cui sono coinvolte quattro persone accusate, a vario titolo, di omicidio colposo e di falso.

Quattro indagati per omicidio colposo. Ci sarebbe un’ombra, secondo la versione accusatoria, dietro il sottopasso perché realizzato, scrive il pm, «con elettropompe con caratteristiche nettamente inferiori a quelle del progetto» ed è per questo che in quattro sono finiti sul registro degli indagati: Lucia Pepe, socio amministratore e legale rappresentante dell’impresa Eredi Pepe Salvatore che si era aggiudicata l’appalto, Giuliano Rossi nelle vesti di direttore dei lavori e sottoscrittore del certificato di regolare esecuzione, Raffaele Bello come responsabile del cantiere e Mario Fioretti, il colonnello della polizia municipale responsabile del Comune delegato alla sicurezza stradale. I quattro condividono l’accusa di omicidio colposo mentre Pepe, Rossi e Bello sono accusati anche di falso. «Tutti lo sapevano: quelle pompe non hanno mai funzionato. Ci è voluto il morto, ci è dovuta andare di mezzo mia moglie», sfogava il suo dolore due mesi fa Lamberto Galiero, il marito della donna che all’alba del 2 dicembre si era messa in macchina per rispondere all’allarme degli anziani genitori con la casa allagata. Mancini, una volta arrivata con la sua Peugeot 107 nel sottopasso di via Fontanelle, rimane intrappolata nell’acqua gelida e muore, come scrive il pm, «soffocata dall’enorme volume d’acqua».

Il pm: «Elettropompe con caratteristiche inferiori al progetto». La procura accusa i quattro di omicidio colposo e ne delinea i ruoli spiegando che Pepe, l’amministratore della società che si era aggiudicata l’appalto, «non si è uniformata al progetto redatto dalla società Iadanza Engineering Srl a regola d’arte installando due elettropompe sommergibili con caratteristiche di potenza, portata e prevalenza nettamente inferiori a quelle progettualmente previste». Rossi, all’epoca direttore dei lavori dell’opera e da poco nominato dirigente dei Lavori pubblici a tempo determinato dell’amministrazione del sindaco Marco Alessandrini, è finito nell’inchiesta perché, per l’accusa, avrebbe «redatto un certificato di regolare esecuzione dei lavori non rispondente a verità», scrive sempre il pm, «perché dichiarava la perfetta rispondenza al progetto redatto dalla società Iadanza Engineering» mentre Bello, illustra ancora la procura, avrebbe «sottoscritto lo stesso documento» durante il sopralluogo del settembre 2007. Infine, tra gli indagati, c’è anche Fioretti perché, scrive l’accusa, non avrebbe «adottato tutte le misure possibili e necessarie per evitare la morte di Mancini pur in occasione di un evento straordinario tempestivamente e formalmente annunciato».

«Il falso: lavori eseguiti regolarmente». E’ questo il nucleo dell’inchiesta per cui gli indagati, assistiti dagli avvocati Roberto Mariani e dal legale d’ufficio Angela Calderoni, avranno venti giorni di tempo dalla notifica dell’avviso per presentare memorie, chiedere di essere interrogati, produrre documenti o rilasciare dichiarazioni. Accanto all’omicidio colposo Pepe, Rossi e Bello sono accusati anche di falso per il certificato di regolare esecuzione dei lavori. Secondo il pm i tre avrebbe redatto «la relazione e il verbale di collaudo statico del sottopasso attestando falsamente che i lavori dell’opera erano stati regolarmente eseguiti». Stessa ragione per cui, secondo la procura, anche il collaudo e l’esito del sopralluogo sarebbero stati «attestati falsamente» nel momento in cui i tre avrebbero scritto: «L’esito della visita del sopralluogo è positivo, non avendo riscontrato né difformità al progetto esecutivo né difformità tali da inficiare la sicurezza, l’efficienza e la funzionalità dell’opera».

Memorie difensive. A questo punto quando l’avviso di conclusione delle indagini sarà notificato, gli indagati potranno iniziare a difendersi producendo memorie, chiedendo di essere interrogati o depositando documenti.

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