Negozi nei capannoni, i dubbi dei Comuni 

Colantonio (Chieti): «Siamo stati esclusi dalla discussione di una legge che sconvolgerebbe il nostro territorio. Ecco cosa non va»

PESCARA. «Questa è una legge che sconvolge il territorio comunale e non possiamo essere esclusi dalla discussione, perché Chieti qui si gioca il suo futuro». Dice così l’assessore comunale all’Urbanistica di Chieti Mario Colantonio, dopo aver appreso solo dalla lettura del Centro, dell’esistenza di un testo di legge a firma del presidente del Consiglio regionale Lorenzo Sospiri, nel quale la Regione apre alla riutilizzazione delle fabbriche e dei capannoni dismessi nelle aree industriali per farne negozi e centri commerciali di medie dimensioni. Una proposta che ha già incassato la censura di Confcommercio («L'Abruzzo è già la capitale europea della insensata e massificata presenza in metri quadri di centri commerciali») e di Confesercenti («Una speculazione edilizia e commerciale»). Nel frattempo il presidente della commissione regionale Attività produttive Manuele Marcovecchio ha invitato domani all’Emiciclo in audizione i sindaci di alcuni comuni: Avezzano, L’Aquila, Vasto, Casoli, Sulmona, Teramo. Manca Pescara, e manca, fa notare Colantonio, soprattutto Chieti. «Eppure il nostro è l’unico comune in Abruzzo che ha attualmente oltre 60 ettari di terra in zona industriale da riconvertire quali aree industriali “dismesse”». Una dimenticanza inspiegabile per l’assessore che lo scorso anno fu convocato in audizione nella stessa commissione con l'allora governo regionale di centrosinistra, in occasione della discussione sulla Legge regionale urbanistica, «proprio per apportare emendamenti migliorativi al testo analizzato collegialmente», ricorda Colantonio, «specie per quanto riguardava la parte che toccava le aree industriali». Poi quella proposta di legge, che conteneva anche ipotesi di riutilizzo delle aree industriali dismesse, venne ritirata, anche perché presentata troppo a ridosso delle elezioni regionali. Oggi la questione torna in parte con la proposta di Sospiri sulle “Misure straordinarie per il recupero delle aree e degli opifici industriali”.
«Ma quel testo non va», spiega l’assessore Colantonio. «Da quanto si legge nella norma, la proposta riguarda le aree del Consorzio Asi e individua degli obiettivi di riconversione per funzioni non industriali e quindi urbane, rinviando a un pacchetto di strumenti di pianificazione e ricorrendo anche a deroghe come quella della media superficie di vendita. È previsto inoltre di poter intervenire per il reperimento dello standard urbanistico correlato alle nuove funzioni utilizzando il verde consortile inattuato, arrivando anche alla sua monetizzazione a favore di Arap e Consorzio Asi. Inoltre compare anche un ulteriore meccanismo che consente all’Arap-Consorzio Asi di introitare una somma commisurata al 20% del maggior valore dell’area derivante dalla riconversione, nella forma di contributo economico che gli stessi utilizzeranno per interventi di pubblica utilità e manutenzione delle infrastrutture di proprietà».
E’ evidente, riflette Colantonio, che da tutto questo meccanismo (e dagli introiti previsti) gli enti locali vengono esclusi. «I Comuni non partecipano alla pianificazione e gestione di queste aree, che invece, essendo di proprietà comunale, dovrebbero essere restituite alla gestione del Comune».
Criticità riguardano anche, aggiunge l’assessore, il Prt del Consorzio Asi Valpescara che «è strumento urbanistico risalente agli anni 70 e che andrebbe adeguato alle nuove leggi in tema di standard, sostenibilità ambientale, Via, Vas, ecc. E ciò come presupposto per poter consentire qualsiasi intervento di riconversione parziale». Infine per Colantonio, poiché non c’è limite quantitativo alle nuove attività, «tutte le aree potrebbero essere recuperate a strutture commerciali», danneggiando, «le strutture esistenti e tutte le attività economiche commerciali della città». Senza considerare, conclude, che «l’attività commerciale oggi non è consentita nel Prt Asi perché è incompatibile con le funzioni industriali anche dal punto di vista degli impatti che le attività industriali creano su quelle urbane».