NON ERA L’ASSASSINO

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Era un venerdì sera, per la precisione il 27 maggio del 1983, io e Michele stavamo tranquillamente passeggiando, nel tentativo di recuperare le energie necessarie ad affrontare quel difficile esame per cui ci eravamo preparati da ormai tre mesi e che il lunedì seguente avremmo dovuto sostenere, quando all’improvviso: “Aiutoooo!! Aiutatemiii!!” - le grida di terrore provenienti da quella villa a pochi passi dalla spiaggia ebbero l’effetto devastante di scuoterci dal nostro sereno torpore.

Tornammo sui nostri passi, le nostre gambe impulsivamente seguirono l’eco di quelle urla, le nostre menti ci inviavano segnali contrastanti, paura, certo, ma anche una sferzata adrenalinica che faceva emergere un coraggio istintivo e atavico. Pochi attimi e, ansimanti, giungemmo a 20 metri dall’ingresso, ora non si udiva più nulla, ci guardammo, incerti sul da farsi, quando d’improvviso tre spari (immaginai che lo fossero, non ne avevo mai sentiti “dal vivo”) ci gelarono il sangue, immobilizzandoci! Trascorsero interminabili secondi, poi dall’ingresso apparve una figura alta ed esile … ebbi l’impressione che mentre correva via, per un attimo avesse incrociato i nostri sguardi atterriti, ma stranamente non se ne preoccupò, quasi ci considerasse del tutto innocui: “per fortuna!” – pensai immediatamente. Eravamo in apnea, due statue, ma più quella persona si allontanava dalla nostra vista più, gradualmente, riprendevamo possesso dei nostri corpi e delle nostre facoltà. Michele strinse la mia mano sinistra con la sua destra e, prima ancora che potessi proferire verbo, mi trascinò con sé verso quell’uscio, rimasto socchiuso, da cui fuoriusciva una fioca luce gialla. “Fermo, dove vai?” – gli dissi piano, con un tono di voce tra l’atterrito e il deciso. “Non possiamo restare qui, qualcuno potrebbe essere gravemente ferito o … peggio! E poi di cosa hai paura, hai visto anche tu che chi ha sparato è fuggito via” – Michele sembrava deciso, si era ripreso in fretta dallo shock e la sua ben nota curiosità lo spingeva, come sempre, a fare un passo avanti prima di chiunque altro. Non mi convinse, ma lo seguii, cos’altro potevo fare? Senza nemmeno provare a bussare, quasi che nelle nostre menti si fosse già focalizzata la drammatica scena cui ci preparavamo ad assistere, lentamente entrammo … l’odore acre della polvere da sparo che si mescolava con quello di un sigaro ancora acceso su un enorme portacenere di cristallo, ci confuse per un attimo, poi … notammo una scia di sangue che scivolava da un grande divano marrone che troneggiava al centro della stanza, udimmo un flebile rumore, feci per ritrarmi, istintivamente, mentre Michele, al contrario, si sporse per osservare e … fu un attimo … una fiammata, un’esplosione … uno sparo lo colpì al volto, cadde a terra supino mentre nello stesso attimo udii la porta alle mie spalle crollare e senza nemmeno accorgermene mi gettai d’istinto a terra con le mani fra la nuca e le orecchie, mentre un fragore di pistole squarciava il divano.

Evidentemente avevo perso i sensi e quando aprii gli occhi mi ritrovai sopra una barella, mentre mi caricavano all’interno di un’ambulanza; ancora stordito feci in tempo ad ascoltare i discorsi di due uomini in divisa: l’assassino, che era stato ferito con un martello dall’uomo aggredito, aveva sparato quei tre colpi senza riuscire a colpirlo, mentre fuggiva, prima di svenire dietro il divano … la potenziale vittima che avevamo visto correre, scambiandola per l’assassino, poco dopo era riuscita a incrociare una pattuglia di ronda … in tempo per salvare me, ma non il povero Michele.

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