Odissea giudiziaria Pescarese assolto dopo 6 anni d’inferno

Indagato a Teramo per favoreggiamento dell’immigrazione I giudici accertano: quella donna non l’aveva mai conosciuta

TERAMO. I processi penali accertano responsabilità individuali e la colpevolezza richiede una prova piena. Sempre. Quando non c’è le sentenze di assoluzione raccontano le vite sospese di chi per anni insegue udienze e carte bollate per dimostrare la propria innocenza. E’ la storia di P.D., pescarese di 67 anni, impiegato che non ha mai avuto a che fare con la giustizia nemmeno per una multa di divieto di sosta. Da un giorno all’altro si è ritrovato indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e dopo sei anni è stato assolto perchè il fatto non sussiste: la formula più ampia di assoluzione prevista dal nostro codice. «Il mio assistito », racconta l’avvocato Camilla Gianna Di Liberato del foro di Chieti, «si è ritrovato indagato senza alcuna prova per colpa di alcune dichiarazioni rese solo per aiutare le indagini. Ha voluto andare avanti senza mai arrendersi, senza mai chiedere riti alternativi e credendo nella mia strategia difensiva al fine di ottenere l’assoluzione».

La storia inizia nel 2007 quando sulla statale 16, tra Silvi e Pineto, una giovane donna ucraina viene investita da una macchina pirata. Finisce in ospedale e qui scoprono che non ha il permnesso di soggiorno. Iniziano le indagini, che partono dal racconto del personale della casa di cura davanti a cui la straniera è stata investita. Un’infermiera racconta che qualche volta ha visto quella donna far visita ad un’anziana ricoverata nella struttura. L’anziana è la madre di P.D. che gli investigatori rintracciano. A loro l’uomo racconta che sì, qualche volta ha visto quella donna far visita alla madre ricoverata nella casa di cura, ma non la conosce, non sa chi sia. Un verbale di sommarie informazioni, nel gergo di investigatori e inquirenti un sit, diventa la prova dell’accusa con cui l’uomo finisce nel registro degli indagati: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, un reato per cui è prevista una pena fino a tre anni. Secondo l’accusa avrebbe assunto la donna in nero, favorendo dunque un’immigrata clandestina. Ma di questa assunzione non c’è mai stata traccia nè all’ufficio immigrati, nè in altro ufficio. L’indagine della procura teramo si chiude e l’uomo viene mandato a processo con una citazione diretta a giudizio. Il 31 maggio 2009 inizia il processo al tribunale di Atri. In quella sede il suo legale solleva l’eccezione di incompetenza territoriale che viene accolta. Il caso approda a Pescara. Il reato è di quelli che prevedono il passaggio in udienza preliminare e qui l’uomo viene rinviato a giudizio. Il 14 febbraio 2012 inizia il processo davanti al giudice monocratico Laura D’Arcangelo. Nel corso delle udienze vengono sentiti numerosi testi. Un’istruttoria dibattimentale articolata al termine della quale il giudice assolve l’uomo. E’ il 28 maggio, qualche giorno fa. Per P.D. forse il giorno più bello della sua vita: quando il giudice legge la sentenza piange come un bambino. «Siamo convinti», conclude l’avvocato Di Liberato, « che si debba credere nella giustizia. Perchè alla fine nel nostro ordinamento le ragioni di chi è innocente e non ha commesso alcun reato vengono sempre accolte». Resta la domanda di un uomo: ma questi sei anni chi me li ridarà?

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