Otto medici su 10 rifiutano di praticare l’aborto

Il caso-limite di Vasto: nessuno è disponibile. E la Asl paga un “gettonista”

PESCARA. A Vasto il servizio di interruzione di gravidanza (Ivg) è garantito soltanto perché la Asl pensa ad inviare appositamente un medico da un altro distretto. Solo così infatti l’Azienda sanitaria riesce a garantire il diritto della donna (in base alla legge 194) ad abortire. E allo stesso tempo garantisce il diritto di chi è obiettore di coscienza a non svolgere quel servizio. Questo perché l’ospedale di Vasto rappresenta un caso tutto particolare in una regione che già di suo rappresenta una situazione-limite con l’80,7% dei medici che nel corso degli anni si sono dichiarati obiettori di coscienza: lì, nel reparto di ginecologia dell’ospedale San Pio, sono tutti obiettori di coscienza e quindi nessuno è disponibile ad aiutare le donne ad abortire.

Nessuna colpa, nessuna dicriminazione. Di certo una spesa in più per le Asl. Per “salvaguardare” tutti e due i diritti deve ricorrere a un medico esterno che viene pagato a parte per quella missione e che per questo viene chiamato “gettonista”.

SITUAZIONE-LIMITE. Il caso Vasto rappresenta bene la situazione in cui si trova l’Abruzzo quanto a numero di obiettori. Una situazione che può portare nelle stesse condizioni della Regione Lazio, salita alla ribalta delle cronache nazionali, perché è stata costretta a fare un bando specifico per l'assunzione di ginecologi non obiettori di coscienza.

In Italia, la percentuale di obiettori è tra le più alte d'Europa, in media arriva al 70 per cento con punte del 90 in alcune zone. L'Abruzzo non fa eccezione con una percentuale fra le più alte (80,7%) proprio come nel Lazio. Un dato in continua crescita, come conferma il ministero della Salute: negli ultimi dieci anni il numero degli obiettori è aumentato del 12 per cento. In alcune regioni poi, la quasi totalità dei ginecologi si dichiara obiettore di coscienza. Accade in Molise con il 93,3 per cento, o in Trentino Alto Adige (92,9 per cento).

Ma ci sono anche regioni in cui questo diritto delle donne viene ampiamente garantito, senza lunghe liste d'attesa né rifiuti che costringono le pazienti a rimbalzare da un ospedale all'altro. Come in Emilia Romagna, che ha una percentuale di medici obiettori che si attesta al 51,8 per cento, e in Toscana (56,2 per cento), fino ad arrivare alla Valle d'Aosta dove gli obiettori sono solo il 13,3 per cento del totale.

A garantire questo diritto fondamentale è la legge 194 del 22 maggio 1978, ed è l'articolo 9 della stessa legge a prevedere che "il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non sia tenuto a prendere parte alle procedure e agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza".

Il punto è che medici e paramedici si sono scoperti obiettori di coscienza in massa. Sicuramente per convinzioni etiche, ma spesso anche per un fatto di opportunità: evitare problemi di responsabilità professionale, avere maggiori possibilità di carriera.

Secondo l'ultima rilevazione risalente al 2015, negli ospedali pubblici abruzzesi i ginecologi obiettori di coscienza sono 103, e solo 21 sono i “non” obiettori. Scendendo nel dettaglio, a L'Aquila su 12 medici solo 2 non sono obiettori, a Chieti solo 3 su 13, a Pescara il rapporto è di 18 a 3, a Teramo di 12 a 4. Fino ad arrivare alle situazioni-limite come quella di Vasto, in cui tutti gli 11 ginecologi si sono dichiarati obiettori, e come quella di Lanciano dove su 10 ginecologi c'è solo un non obiettore.

DIFFICOLTÀ. E sono loro, i pochi professionisti che eseguono l'Ivg, ad affrontare una serie di difficoltà e ingiustizie.

La denuncia arriva in questo caso da Laiga, la Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione della legge 194/78, che si batte da anni a difesa dei medici non obiettori e per la tutela del diritto delle donne ad abortire.

L'associazione sottolinea come i ginecologi che effettuano l'interruzione di gravidanza "siano soli in sala operatoria, costretti ad auto-assistersi e senza carriera". Una situazione che ha portato in Parlamento varie proposte di modifica alla 194, affinché almeno il 50 per cento dei medici presenti in reparto non sia obiettore di coscienza. Ma da questi numeri siamo sempre più lontani, tanto che le liste d'attesa si prolungano fino quasi allo scadere dei 90 giorni previsti dalla legge per effettuare l'aborto volontario, con conseguenze psicologicamente ancora più pesanti per le donne e per gli stessi medici non obiettori, costretti a un sovraccarico di lavoro che rappresenta anche una pressione emotiva.

PROPOSTE. Per Maurizio Acerbo e Viola Arcuri di Rifondazione Comunista e Sinistra Europea, la strada tracciata dalla Regione Lazio è quella giusta. «Nessuno mette in discussione il diritto all'obiezione di coscienza», affermano, «ma è doveroso fare in modo che nel servizio sanitario nazionale sia garantita l'applicazione di una legge dello Stato. Anche la Regione Abruzzo dovrebbe seguire l'esempio del Lazio, visto che la percentuale di ginecologi obiettori è la stessa».

Il presidente dell’Ordine dei medici di Pescara Enrico Lanciotti invita a non azzuffarsi sulle regolette e a mettersi intorno a un tavolo per trovare una soluzione: «Mi pongo il problema su come un medico possa fare il gettonista per tutta la vita e svolgere quel servizio a cuor leggero. Che cosa deve fare per poter ambire a un contratto a tempo indeterminato? Si tratta di una situazione avvilente, fermo restando che sono convinto», continua Lanciotti, «che devono essere rispettati i diritti degli obiettori e delle donne. Per questo motivo suggerisco di parlarne. E di ipotizzare al limite una nuova normativa».

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