Personalismi e veti Così il centrosinistra è andato in testa-coda 

All’Aquila Di Benedetto perde 4mila voti e affonda Avezzano è il sintomo del malessere in Regione

TERAMO. Lui invece non c’ha messo la faccia. Matteo Renzi non s’è visto in Abruzzo né altrove. Certo, si è visto il secondo componente del ticket delle primarie, il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. È passato il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Si è affacciata la sottosegretaria Maria Elena Boschi. Ma prima dell’11 giugno. Nei 15 giorni successivi, i candidati del centrosinistra sono rimasti senza il supporto del Nazareno ad affrontare il ballottaggio. Si è allora mobilitato il centrosinistra abruzzese? Non sembra. E ora al segretario regionale del Pd Marco Rapino tocca ammettere la sconfitta. E non solo: «Abbiamo perso L'Aquila e Avezzano, mentre le divisioni del centrosinistra hanno prodotto la sconfitta a Ortona. Questi sono segnali che non vanno sottovalutati e, per questa ragione, riconosco come segretario che oggi bisogna fare i conti con una significativa battuta di arresto». Rapino sospetta anche che il tarlo romano dei veti incrociati stia corrodendo il tronco democratico abruzzese: «I personalismi sono il nostro primo e vero ostacolo», ammette. Quali personalismi? Quelli tra il candidato dell’Aquila Americo Di Benedetto e i rappresentanti delle liste della sua coalizione, che domenica gli hanno fatto mancare ben 4mila voti rispetto al primo turno? Quello tra Di Benedetto e la classe dirigente del Pd aquilano? Giovanni Lolli, Stefania Pezzopane, Massimo Cialente, Pierpaolo Pietrucci in testa, che non sono riusciti a sostenerlo a dovere? La resa dei conti è appena iniziata. Anche perché in ballo ci sono le candidature da costurire per le politiche del 2018 e le regionali del 2019. Ad Avezzano il ribaltone che ha scalzato sorprendentemente il sindaco uscente Gianni Di Pangrazio ha riportato in superficie le frizioni mai risolte nella maggioranza in Regione. Il nuovo sindaco di centrodestra Gabriele De Angelis è stato sostenuto da un inedito asse tra il forzista Emilio Iampieri e i consiglieri della maggioranza d’alfonsiana Andrea Gerosolimo (Abruzzo civico), Maurizio De Nicola (Centro democratico), e Lorenzo Berardinetti (Regione Facile). Luciano D’Alfonso ha parlato di «colichette». Ma gli esiti sono stati devastanti. Con seri danni politici collaterali per il presidente del Consiglio regionale (e fratello dell’ex sindaco) Giuseppe Di Pangrazio. Dice ora Luciano D’Alfonso: «Io sono dispiaciuto dal punto di vista politico, addolorato dal punto di vista personale, poiché due persone che io stimo, che hanno battagliato con qualità, hanno perso le elezioni. Adesso si tratta di decodificare la ragione di questa sconfitta». Meno complicato decodificare il tracollo di Ortona. Camillo D’Alessandro commissario del Pd ortonese dovrà interrogarsi sul perché da tre candidati sindaci del Pd la vittoria è toccata a un ex esponente del centrodestra. «È il prezzo del rinnovamento», ha detto D’Alessandro. C’è ragione di dubitarne. (a.d.f.)