POLITICO CONDANNATO

Pescara, D’Ambrosio sospeso dal Comune

L’ex parlamentare, già sindaco di Pianella, è stato riconosciuto colpevole di peculato e ora non può fare l’impiegato

PESCARA. Giorgio D’Ambrosio, personaggio molto noto della politica abruzzese per essere stato deputato nel 2006, sindaco di Pianella per dieci anni, consigliere provinciale e attualmente segretario regionale del Psi, è stato sospeso dal Comune. In pratica, non può più esercitare la sua attività lavorativa come impiegato, almeno fino a quando non riuscirà ad essere assolto in appello dall’accusa di peculato, per cui è stato condannato in primo grado di giudizio a due anni e otto mesi. Nel frattempo, non percepisce lo stipendio di dipendente pubblico e può contare solo sul compenso di consigliere comunale a Pianella.

La vicenda risale alla fine dell’anno scorso, ma solo ora è trapelata dal Comune la notizia della sua sospensione. Notizia, tra l’altro, rimasta strettamente riservata, al punto che lo stesso interessato ieri, contattato telefonicamente dal Centro, ha negato di aver subìto questa sanzione disciplinare. «La commissione disciplinare del Comune si deve ancora riunire per esaminare il mio caso», ha risposto al cronista che chiedeva conferme, «non ho ancora ricevuto la convocazione».

Ma la sospensione è stata poi confermata dal vice direttore generale Guido Dezio e dall’assessore al personale Enzo Del Vecchio. «Si tratta di un provvedimento disciplinare obbligatorio», hanno spiegato entrambi in sintesi, «è la legge che impone agli enti locali di sospendere i dipendenti condannati per alcuni tipi di reati considerati gravi, almeno fino a quando non intervenga l’assoluzione in appello». Il riferimento è alla legge del 19 marzo 1990, articolo 15, comma 4 septies, poi in parte modificato da un articolo del Testo unico degli enti locali, che dice: «Qualora ricorra una delle condizioni previste nel comma 1 (tra cui i delitti di peculato, ndr) nei confronti del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche, si fa luogo all’immediata sospensione dell’interessato dalla funzione o dall’ufficio ricoperti».

La vicenda cui fa riferimento il provvedimento disciplinare riguarda il periodo in cui D’Ambrosio era presidente dell’ente d’ambito Ato. D’Ambrosio (nella foto a destra durante il processo) è stato accusato di aver utilizzato, per i viaggi avvenuti tra il 20 settembre 2006 e il 7 novembre 2007, la vettura e il Telepass in dotazione all’ente d’ambito per la sua attività di deputato. La sentenza di condanna, emessa nel giugno dell’anno scorso, ha motivato così la decisione dei giudici nel processo al cosiddetto “partito dell’acqua”: «L’utilizzo della vettura dell’Ato, da parte del presidente, per poter assolvere i propri impegni di parlamentare, non vale a smentire la tesi del peculato, costituendo finalità palesemente estranea alle attività dell’Ato».

Così, D’Ambrosio è stato condannato in primo grado a due anni e otto mesi per peculato, ma è stato assolto dall’accusa, sempre di peculato, in merito ad una serie di cene pagate con una carta di credito dell’Ato. Piena assoluzione, insieme all’ex docente Luigi Panzone, anche per la vicenda di una presunta compravendita di esami per la sua laurea in Economia e management. È scattata, invece, la prescrizione per i reati di falso e abuso di ufficio che vedevano sotto accusa lo stesso D’Ambrosio, insieme a dirigenti dell’Ato e politici locali, in relazione ad una delibera dell’ente d’ambito sulla proroga di alcuni incarichi e per delle consulenze. Ma c’è chi esprime dubbi sulla sanzione disciplinare applicata dal Comune, in quanto il reato, di cui l’ex parlamentare è stato accusato, non è stato commesso ai danni dell’ente in cui ora lavora.

Tuttavia, D’Ambrosio ha subito impugnato la sentenza in appello e ora si attende l’esito del ricorso. Nel caso venisse confermata la decisione dei giudici del tribunale anche nei successivi gradi di giudizio, l’ex parlamentare rischierebbe il licenziamento. Se invece la Corte d’Appello dovesse assolverlo, D’Ambrosio verrebbe subito reintegrato nel suo posto e il Comune dovrebbe versargli tutte le indennità non pagate, con gli interessi.

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