Pescara, gli pignorano i conti e perde la figlia malata

Credito d’Iva per 30 milioni di lire di 20 anni fa si trasforma in un incubo da 250mila euro per un piccolo imprenditore: "Mai ricevuto quelle cartelle". Con l’avvocato, ottiene la sospensione "ma mia figlia non c’è più"

PESCARA. Si è trovato da un giorno all’altro con i conti bancari pignorati, con la pensione pignorata e pure con il piccolo stipendio che percepiva come muratore part-time. In un momento in cui i soldi gli servivano eccome, perché la figlia malata di tumore aveva avviato una cura sperimentale costosa, si è trovato con le mani legate. E nel giro di pochi mesi, è storia di un anno fa, oltre a scoprire che dietro quei pignoramenti c’era Equitalia che reclamava 248.160,69 euro a fronte di un credito d’Iva del 1994 di 30 milioni di lire successivo a un fallimento, ha visto morire la figlia appena trentenne senza potersi giocare neanche l’ultima carta della ricerca scientifica, il metodo Di Bella. E senza poterle pagare neanche il funerale, se non con un prestito, l’ennesimo, tra quelli ottenuti tra parenti e amici.

Nasce da una tragedia, avvenuta il 31 dicembre dello scorso anno, la rabbia che ha alimentato la voglia di giustizia di Pietro Granifero, 69 anni, originario di Basciano, nel Teramano, e residente a Collecorvino. Una storia di disperazione e di coraggio, come racconta Granifero al Centro, e che finalmente, dopo un anno, comincia a profumare di vittoria. E di un risarcimento milionario che l’uomo si appresta a chiedere a Equitalia.

Merito della battaglia legale condotta a suon di ricorsi con il suo avvocato Anthony Hernest Aliano che lo scorso 20 ottobre ha ottenuto dal Tribunale di Pescara la sospensione della procedura esecutiva promossa da Equitalia nei confronti del 69enne. Provvedimento a cui ha fatto seguito, il 20 novembre, anche lo sblocco dei conti presso i due diversi istituti bancari. Anche se dei suoi 16mila euro di risparmi non c’è comunque più traccia. Ma Granifero, racconta il figlio Alessio, sa aspettare e li riavrà: «Ha un carattere forte per fortuna. Ma se così non era, con tutto quello che è successo, soprattutto per mia sorella e per quello che papà non è riuscito a fare per lei, si sarebbe potuto uccidere».

Una vicenda terribile, che nasce però da un errore. O equivoco. Comunque da un difetto di comunicazione.

«Il fatto è che mio padre non ha mai ricevuto nessun tipo di notifica per quelle cartelle, perché abbiamo scoperto che le mandavano a un indirizzo di Pescara che non c’entrava nulla con lui, ma dove qualcuno le ha comunque ritirate. E all’improvviso, per un debito con l’Iva di meno di 30 milioni di lire lasciato nel 1994 dopo il fallimento della sua piccola ditta di movimento terra, ha ricevuto quella cartella pazzesca».

La brutta notizia arriva il 16 ottobre del 2015 quando Equitalia, come ricostruisce l’avvocato Aliano nel suo ricorso, notifica degli atti di pignoramento presso terzi nei confronti della Carichieti e della Bbc di Castiglione quali debitrici, a loro volta, di Granifero. La cifra, pari a 248.160,69 euro di cui circa la metà (112.mila euro) per interessi di mora è il risultato, lievitato, di cartelle notificate negli anni 2000, 2001, 2004, 2006 e 2007. Ma delle quali, scopre l’avvocato tramite l’accesso agli atti, «da un’attenta analisi della documentazione», non si trovano elementi che ne provino l’effettiva notifica. Dunque, ha scritto l’avvocato nel ricorso vinto, un’omessa notifica degli atti renderebbe l’azione esecutiva nei confronti del pensionato illegittima. Proprio perché, rimarca, «l’agente della riscossione provvedeva ad esperire il pignoramento per titoli che non risultano notificati».

E pur volendo ritenere quelle cartelle notificate regolarmente, secondo il legale c’è la prescrizione a renderle nulle: «Il credito d’Iva reclamato risale al 1994, l’agente dice di aver notificato quella cartella di riscossione il 3 aprile del 2001: dunque il termine di cinque anni per la prescrizione è scaduto». Ma i pignoramenti ci sono stati, e soprattutto quando quei risparmi servivano alla famiglia per supportare le costosissime cure per la figlia.

«L’aver pignorato tutte le somme sul conto», rimarca il difensore che da qui riparte per la richiesta di un risarcimento milionario, «fa sì che ad oggi patisca la frustrazione di non avere potuto tentare ogni soluzione utile al gravissimo problema della figlia, di non aver avuto la disponibilità economica per giocarsi le ultime speranze di far seguire alla figlia le costosissime cure sperimentali».

Ma alla fine di tutto, quando dopo mesi di dolore e angoscia Pietro Granifero comincia a intravedere un po’ di luce, ecco quello che arriva un messaggio di speranza: «Ho tanta rabbia, perché mia figlia non c’è più e perché mi hanno tolto tutti i miei risparmi. Ma l’unica cosa che misento di dire è questa: non mollate, non bisogna mai mollare».

©RIPRODUZIONE RISERVATA