Pescara, il porto riapre ma le barche si incagliano

Il comandante della Direzione marittima riapre il porto dopo 478 giorni, ma i pescherecci si incagliano ancora

PESCARA. Domenica 2 giugno, dopo quindici mesi e mezzo, 478 giorni in tutto, i pescatori di Pescara tornano in mare. Il comandante della Direzione marittima, Luciano Pozzolano, ha firmato l’ordinanza temporanea con cui, come aveva annunciato nei giorni scorsi, lo scalo pescarese riapre. «Non è una situazione ideale», ammette il comandante, «ma ci sono i requisiti mimimi di sicurezza per cui la ripresa è fattibile».

Una scelta condivisa anche dai pescatori alla fine della riunione di ieri pomeriggio in cui Mimmo Grosso, Massimo Camplone, Romeo Palestino e Giovanni Verzulli hanno illustrato agli altri marittimi l’esito dell’incontro avuto il giorno prima a Roma, alla presenza del presidente della Provincia Guerino Testa, con il ministro per le Riforme costituzionali Gaetano Quagliariello.

Un incontro soddisfacente per i pescatori che al ministro, come poi hanno ribadito nella lettera fatta arrivare sul tavolo del consiglio dei ministri di ieri, hanno chiesto una serie di garanzie. «Tra le varie richieste», spiega Grosso, «abbiamo fatto presente la necessità di avere ulteriori fondi per le imbarcazioni che alla prova di questa settimana hanno riportato gravi danni. E poi, ma questa è una questione ancora aperta, di essere esonerati dal fermo biologico. Non si può pensare che dopo tutto questo tempo in cui siamo stati fermi, tra due mesi ci dobbiamo fermare ancora. Intanto perchè abbiamo il problema del canale dell’avamporto che potrebbe richiudersi, e poi perché dopo tutti questi mesi dobbiamo rilanciare il mercato. Non possiamo permetterci più nessuna sosta». Ma la prossima settimana, come fa rilevare lo stesso Grosso, «sarà una settimana di prova. Usciremo tre volte invece di quattro, il martedì staremo a terra».

Intanto, arriva già l’esito delle prime verifiche. Come quella fatta da Lucio Di Giovanni, armatore della «Maria Teresa» una barca lunga 30 metri, con tre metri e mezzo di «pescaggio» (la parte della barca che va in profondità). «Ci avevano detto che nel porto canale c’era una profondità di quattro metri, invece questa mattina (ieri ndr) siamo tornati da Ortona, dove stiamo da febbraio 2012, e ci siamo arenati. Non siamo riusciti nemmeno a ormeggiare la barca. E questo nel tratto che dovrebbe essere più profondo, quasi sotto al ponte del mare, all’inizio del porto canale. La barca si è messa di traverso, siamo riusciti ad accostare giusto la parte della prua, ma così non si può lavorare. Le barche di queste dimensioni al porto di Pescara non ci si possono avvicinare, si rischia di rimanere bloccati alla secca con conseguenze pesanti per barca e personale. Il transito, in queste condizioni, è pericolosissimo. Ce ne andiamo per forza. Sulla carta si può dire qualunque cosa, ma poi parlano i fatti». E un altro fatto è quello che racconta Francesco Tiberi, detto Cocò, che dopo tanti mesi ha rimesso la sua Karol di 17 metri in acqua, ma nel legno si è aperta una falla che l’ha indotto a un rientro di emergenza. «L’abbiamo messa nella secca per tenerla al sicuro. Domenica usciamo, ce la facciamo a ripararla, vediamo come andrà».

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