Pescara: nomine Bcc, tre notai indagati per falso 

Chiusa l’inchiesta sulle deleghe ritenute irregolari nell’assemblea del 2015. Coinvolti i professionisti Buta, Faieta e Mastroberardino

PESCARA. L'autenticazione delle firme sulle deleghe per il rinnovo della presidenza e del consiglio di amministrazione della Bcc di Cappelle trascina nel vortice giudiziario tre notai - Grazia Buta, Marco Faieta e Antonio Mastroberardino - e fissa le coordinate principali dell'inchiesta appena chiusa dal pm Barbara Del Bono (nella foto).


L’ipotesi di reato a carico dei tre professionisti è quello contemplato dall'articolo 480 del codice penale, che punisce con la reclusione fino a due anni la falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative. Il magistrato ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini, atto prodromico alla richiesta di rinvio a giudizio se la difesa, nel frattempo, non avrà convinto la procura del corretto operato o comunque della buona fede dei tre notai. È l’obiettivo delle memorie già depositate o in arrivo in procura da parte dei legali dei tre professionisti.
La decisione della Del Bono arriva a tre settimane dall'assemblea dei soci, fissata al 15 aprile, che dovrà tornare a eleggere i vertici della banca.
Il percorso giudiziario è invece vecchio di tre anni e scava tra le pieghe di una competizione, quella tra Michele Borgia e Filippo Falconio, a tal punto accesa da sfociare in un due distinti procedimenti penali.
Quello che ha scatenato la tempesta sui tre notai è figlio di un’indagine della finanza, che ha ipotizzato brogli elettorali legati alla raccolta delle deleghe da parte della lista che vedeva candidato alla presidenza Falconio, poi sconfitto.
L’indagine, in realtà, inizialmente aveva acceso i riflettori solo sulla lista che sosteneva l’attuale presidente della banca di credito, Borgia, dopo la querela presentata da alcuni candidati e soci sostenitori appartenenti alla lista Falconio, convinti che la sconfitta fosse stata viziata da irregolarità.
Il 26 aprile 2015, Borgia viene rieletto per la terza volta con 1.218 preferenze contro le 1.079 registrate dalla cordata sfidante: 139 voti di scarto, con una percentuale di circa il 13 per cento in più. La fazione perdente avvia una serie di azioni legali per individuare eventuali irregolarità della lista Borgia, sul piano civilistico e su quello penale, tanto che oggi il presidente è sotto accusa per aver permesso «la presentazione per il voto di deleghe irregolari» e rischia il processo davanti al tribunale collegiale.
La querela della lista sconfitta spinge i finanzieri a sequestrare e passare in rassegna le deleghe dei soci per la votazione. Per riconoscere se si sia trattato di deleghe autentiche o di falsi, gli investigatori chiamano i soci della banca di credito nella sede del comando, ma gli interrogatori vengono rivolti anche a soci che hanno rilasciato la delega ai candidati della lista Falconio. E la situazione si ribalta perché alcuni di questi non riconoscono le firme apposte sulle deleghe.
Insieme alle testimonianze, ad alimentare ulteriormente i sospetti degli inquirenti, è il fatto che a molte deleghe viene allegata una copia del documento di riconoscimento del socio delegante, di cui è ragionevole chiedere la sola esibizione nel caso in cui il pubblico ufficiale autenticante abbia assistito personalmente all’apposizione della firma.
Il pm Del Bono acquisisce l’intera documentazione sull’assemblea della discordia e in particolare le deleghe al voto rilasciate dai soci assenti, limitatamente a quelle recanti le firme dei tre notai. Casi isolati o un vero e proprio “metodo”? La posizione dei notai prende risalto in quanto potrebbero aver autenticato deleghe raccolte con questo sistema, senza la presenza dei sottoscrittori. Ma restano accuse da provare. E sulle quali pesa un interrogativo, base e fondamento delle tesi difensive: che interesse avrebbero avuto tre notai stimati e conosciuti in città ad autenticare il falso? Nel caso di Mastroberardino, la delega contestata è addirittura una sola, qualcuna di più per gli altri due professionisti. Che, interrogati, hanno ribadito la bontà del loro operato, svolto alla presenza di centinaia di persone. Agli avvocati il compito di smontare l’accusa.