in tribunale

Pescara, rabbia di genitori: «Nessuna giustizia per nostro figlio ucciso da un’auto»

Il responsabile era ubriaco: ha patteggiato un anno e 8 mesi ed è libero. I genitori della vittima: «Vale solo questo la vita di Gabriel?»

PESCARA. Una punizione «ingiusta e iniqua». Al dolore infinito per la morte del figlio diciottenne, investito sette mesi fa sulle strisce pedonali, ora si aggiunge la rabbia per una sentenza che non riescono ad accettare. Se la prendono con la giustizia, Gabriele e Loredana Di Giorgio, genitori di Gabriel, falciato da un'auto a Città Sant'Angelo il 12 agosto 2015 e morto dopo due giorni.

Non accettano assolutamente la pena inflitta a Elia Mambella, il giovane che quella sera d’agosto era alla guida di una Ford Fiesta, ubriaco, e ha investito Gabriel mentre stava attraversando con il monopattino in mano. L'automobilista, appena ventenne, è stato condannato a un anno, otto mesi e venti giorni di reclusione, dopo aver chiesto di patteggiare la pena, e mentre «mio figlio è in una bara bianca, chi lo ha investito e ucciso va in giro con gli amici, fa la sua vita. Ecco cosa accade grazie alla giustizia», dice Loredana, sconvolta da una sofferenza e una rabbia che si alimentano a vicenda. Il giovane automobilista, che vive a Città Sant’Angelo e quella notte ha anche tentato la fuga, non ha mai fatto arrivare un messaggio alla famiglia di Gabriel. «Ci siamo incontrati in Tribunale, ma non ci ha rivolto la parola, né lui né i genitori. Non mi aspettavo niente», prosegue la donna, «e non voglio neanche le scuse, ha ucciso mio figlio».

«Come avrei potuto immaginare», aggiunge il marito, Gabriele, «che un giorno un ragazzo di appena 20 anni avrebbe deciso il destino di nostro figlio, un destino tragico e ingiusto che Gabriel di sicuro non meritava. E come avrei potuto immaginare che la punizione sarebbe stata altrettanto ingiusta e iniqua». Gabriele Di Giorgio conta uno ad uno i giorni della pena inflitta per i reati di omicidio colposo e guida in stato di ebbrezza e poi commenta. Lo fa usando i criteri del cuore, che sono diversi da quelli dei Tribunali. Il comportamento dell’automobilista, quella sera, in viale Petruzzi, non aveva «nulla di casuale, accidentale e imprevedibile» e proprio quel comportamento ha «spezzato la vita di un ragazzo di appena 18 anni, nel fiore degli anni».

Ma di fronte a questa tragedia la pena è stata di «625 giorni in tutto di pena, sospesa. Tanto vale la vita di nostro figlio!», sottolinea Gabriele. «Tanto vale l'averci strappato il più bel petalo del nostro fiore, di aver tolto a noi tutti e agli amici una persona speciale, che di sorriso faceva virtù! Se questa è giustizia», dice ancora amareggiato il papà di Gabriel.

Oggi, dopo la sentenza che rifiuta totalmente, pensa che è come se il figlio fosse stato «ammazzato due volte» e al peso del dolore si è aggiunto il peso della sentenza, che bolla come «una valutazione folle» perché è stato dato alla vita di Gabriel «un valore che ci offende, ci mortifica». La condanna per questo incidente «dovrebbe essere un deterrente, per scongiurare il ripetersi del reato, ma che deterrente può essere questa pena, inflitta a chi ha ucciso?», si chiede il papà del giovane che ha donato gli organi.

Di Giorgio avrebbero gradito una maggiore sensibilità, soprattutto perché nel momento in cui è stato proposto e accolto il patteggiamento si stava discutendo in Parlamento la legge sull'omicidio stradale, che proprio ieri ha avuto l'ultimo via libera dal Senato e prevede pene severe per chi uccide in auto. I magistrati, aggiunge con amarezza Gabriele, dovrebbero «trovarsi per un giorno a giudicare l’assassino dei propri figli. E solo allora sarebbero in grado di dare un senso e un valore più alto alla vita di un ragazzo incolpevole, innocente e puro come Gabriel».

«Sapevamo che poteva finire così», aggiunge Loredana, una mamma piegata da una sofferenza che non si può spiegare. «L'avvocato, Ernesto Picciuto, ci aveva avvisati, ma non posso crederci. E provo odio, solo odio», aggiunge mentre un nodo le stringe la gola e le lacrime cominciano a scendere dagli occhi. «Questo dolore non si supera mai. Non andrà mai via, siamo segnati per tutta la vita, e solo chi ha perso un figlio mi può capire. Abbiamo un vuoto dentro, una tristezza che impedisce di fare qualsiasi cosa. Non ho voglia neppure di lavarmi. Gabriel mi manca tanto e la casa parla di lui. Abbiamo lasciato tutto com'era, ci sono le sue foto ovunque. Tutta Città Sant’Angelo sa che era un figlio d'oro: studiava all'Alberghiero, ha studiato pianoforte per undici anni, non frequentava discoteche né pub, ma si accontentava di stare qui vicino casa, al parco, con gli amici. Era un ragazzo educato, una persona per bene, come i fratelli, perché crescendolo lo abbiamo formato così».

Dopo sette mesi senza il suo Gabriel, Loredana sente ancora la disperazione e la rabbia che la pervadono e dice che «se una mamma deve avere un dolore così grande, forse è meglio non avere figli». Nel suo andare avanti, un quotidiano difficilissimo, pensa al prossimo appuntamento per ricordare il figlio. «Abbiamo già fatto una fiaccolata il 12 settembre, a un mese dall’incidente, liberando in aria delle lanterne. E un’altra la faremo il 12 agosto».

©RIPRODUZIONE RISERVATA