la ferrovia

Pescara-Roma: viaggio-calvario come 128 anni fa

Reportage del “Centro” sul treno lumaca. Gli utenti ai politici: «È tutta colpa vostra»

PESCARA. Quasi quattro ore di treno da Pescara a Roma per appena 240 chilometri. Alla media di un chilometro al minuto. A fronte delle due ore e 50 per percorrere invece i 573 chilometri che dividono Roma da Milano. Media al minuto, tre chilometri. Una differenza abissale. Ecco in pochi dati la condizione di inferiorità in cui viene messo l’Abruzzo. Penalizzando cittadini e utenti, per non parlare delle aziende e dell’economia della regione. Il viaggio in treno da Pescara a Roma (12,80 euro il biglietto) è un viaggio allucinante, indietro nel tempo, con l’orologio fermo a 128 anni fa. Senza wi-fi e senza prima classe e con le prese elettriche che funzionano a singhiozzo. Ma soprattutto lungo un tracciato ferroviario che dal 1888, data della sua completa realizzazione, è rimasto sempre uguale, su un solo binario su e giù per le montagne dell’Abruzzo interno da cui oggi si muovono quotidianamente centinaia di pendolari che per studio o per lavoro devono raggiungere la Capitale. Sono quelli che non possono trasferirsi, o che ci hanno provato e sono tornati indietro. Oppure quelli che no, non vogliono arrendersi.

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ALTRO CHE STORIAIl Centro è salito ieri mattina con loro, dalla stazione Centrale di Pescara, sul regionale delle 6.15 per provare a raccontare una storia che, se si lascia passare ancora altro tempo, finirà per svuotare definitivamente anche questi ultimi regionali, prestando il fianco a chi giustifica i mancati interventi con l’utenza che non c’è più. Lo dice Gianni Melilla, deputato di Sinistra Italiana che sulla questione si impegna da anni e che, reduce da un volantinaggio davanti alla stazione e dentro i treni proprio per tenere alta l’attenzione sul tema, ha accettato di fare con noi il viaggio dei pendolari. Partendo da una certezza: «Bisogna fare il doppio binario e intervenire per eliminare i dislivelli e le curvature eccessive. Ma in attesa delle promesse di Trenitalia, almeno che istituiscano una corsa no-stop che da Pescara a Roma faccia tappa solo a Sulmona e Avezzano. E poi vediamo», dice Melilla, «se la gente non tornerà sul treno».

TUTTI IN CARROZZA Insieme all’onorevole Melilla, pendolare ferroviario solo quando gli orari dei lavori parlamentari in commissione iniziano oltre le dieci, da Pescara salgono appena 23 persone che fanno in fretta a disperdersi tra le cinque carrozze a disposizione. Studenti perlopiù, ma anche un operaio che come ogni lunedì mattina scenderà a Carsoli due ore e mezza dopo, per ripartire il venerdì alle 17,50 con arrivo alle 20,45 («è assurdo, ma conviene»). La prima fermata è a Chieti Scalo, dove salgono altre sei persone dirette, prima ancora di Roma, a Sulmona e a Tagliacozzo. Non ha ancora fatto giorno quando dopo mezz’ora e 32 chilometri (a una media di un chilometro al minuto) il treno fa tappa a Scafa. Salgono in dieci, quasi tutti operai che scendono alla fermata successiva, Torre de’ Passeri, in cambio di un altro passeggero che sale. A Popoli c’è il primo rallentamento, dalle 7,07 alle 7,09: due minuti persi per cedere il passo al treno che arriva in senso opposto e poi altri due minuti di sosta alla stazione. Dove però non sale nessuno. Anticipa Melilla: «Il pezzo pregiato è da Avezzano a Roma, ma prima di arrivarci dobbiamo passare la strozzatura vergognosa tra Sulmona e Avezzano». La disegna su un foglio la strozzatura con la ferrovia che in prossimità della galleria autostradale di Cocullo fa un enorme curvatura di circa 300 metri verso Anversa degli Abruzzi.

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PASSA IL TRENO Un disegno che si concretizza quando, dopo la tappa a Sulmona (alle 7,24), fino a pochi anni fa importante sede dell’officina delle Ferrovie con circa mille dipendenti scesi oggi a 150, con i 240 macchinisti degli anni Ottanta diventati una trentina e i 160 capitreno scesi a i 16, il treno inizia a salire e a faticare. «Sbaglia chi pensa che il treno è un mezzo passato, il treno è la modernità», commenta Melilla mentre dal finestrino si susseguono le cartoline di un panorama mozzafiato. «Abbiamo quattro parchi nazionali, un parco regionale e 30 riserve regionali, il 38 per cento del nostro territorio è protetto», ricorda il deputato, «il mezzo della regione verde d’Europa non può che essere il treno. Ma servono investimenti, la soppressione della linea Pescara-Napoli che collegava Sulmona a Castel di Sangro e poi giù verso la Campania grida ancora vendetta, e se non si fa qualcosa è lì che andiamo a finire. Va recuperato il miliardo e 800 milioni stanziato dal Cipe nel 2008 per le nostre infrastrutture, per raddoppiare il binario, e iniziare a fare le gallerie tra Sulmona e Avezzano. Intanto va velocizzata la linea, limitando le fermate e migliorando la tecnologia dei treni. Dicono che non c’è utenza, ma allora perché da Pescara ogni mattina i pullman per Roma sono pieni?». Cinque gli autobus in partenza da Pescara solo tra le sei e le 8,15 con un prezzo medio che si aggira sui 15 euro; in un giorno 24 corse ad andare, e 26 a tornare da Roma con l’ultima dalla Capitale alle 23 e arrivo all’una e mezza di notte. Contro le sei coppie di treni tra Pescara e Roma e l’ultimo rientro dalla Capitale delle 18,30, a Pescara quattro ore dopo.

BRUTTA POLITICASono le 8,13 quando il treno arriva ad Avezzano e si riempie. Circa 30 persone a cui si aggiunge la quindicina che sale a Tagliacozzo 12 minuti e circa 18 chilometri dopo. Ecco gli studenti universitari, ma soprattutto gli impiegati diretti ai Ministeri romani e gli insegnanti che da Trasacco, Collarmele e dintorni devono raggiungere le scuole di Tivoli e Guidonia. Raccontano dei disagi della settimana scorsa, quando i lavori sulla linea tra Avezzano e Tivoli hanno trasformato quei 77 chilometri di distanza in viaggi anche di due ore. Ed è proprio dai marsicani che arriva la stoccata alla politica. È un impiegato diretto al ministero della Difesa a Roma che da 30 anni fa quattro ore di treno al giorno. Quando viene a sapere che sul treno c’è «Melilla, il deputato» attacca subito contro la politica abruzzese «che non vuole contare niente, che privilegia i trasporti su gomma e che fa presto a dimenticare le promesse». Due carrozze più giù, mentre chiacchiera con uno studente diretto a Roma, Melilla replica: «Quale politica? La politica siamo tutti, la vera responsabilità è dei governi che spendono miliardi sulla Tav, sette miliardi per ridurre di mezz’ora il viaggio da Torino a Lione e noi guarda dove stiamo, ridotti su un regionale, il vecchio accelerato, mentre prima almeno avevamo il rapido e l’espresso e si andava perfino più veloce. Qualcuno ci ha provato, Sospiri quando era sottosegretario ai Trasporti, lo stesso Gaspari», ricorda Melilla, «ma la Dc ha puntato sulla motorizzazione privata perché non aveva quella sensibilità ambientale e sociale».

FINE CORSA. Penultima fermata, ore 9.16, Lazio, Valle dell’Aniene, salgono tre persone. «Ecco, la verità è che questa è la metropolitana leggera dei romani, paghiamo un servizio al Lazio», commenta il deputato. Tre quarti d’ora ancora e arriva la stazione Tiburtina, ennesimo sfregio ai passeggeri abruzzesi che ancora rimpiangono quella di Termini. L’impiegato ormai giù dal treno incrocia Melilla e si stringono la mano: «Sarà pure una brava persona», gli dice, «ma è tutta colpa vostra».

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