Pescara, scrive sei testamenti per sei diversi fidanzati

I casi limite. La contestazione più diffusa? il defunto non era capace di intendere

PESCARA. Sei testamenti diversi per altrettanti fidanzati, la casa del defunto svuotata con il familiare ancora sul letto di morte: chi potrà mai provare che i gioielli sono stati portati via da un erede? Sono i casi estremi di una letteratura fiorente sull’eredità che comunque, nell’80 per cento dei casi, finisce per spaccare le famiglie. Ne sa qualcosa chi di professione riceve i congiunti per leggere le ultime volontà e si trova, suo malgrado, a raccoglierne i cocci. Le contestazioni, e quindi i motivi di causa, sorgono immediatamente per un nome ricordato male, per una data scambiata per un’altra, anche se la contestazione più cavalcata resta quella dell’incapacità di intendere e di volere. Per mettersi al riparo dalla contestazione più diffusa è meglio affidarsi, così, a un notaio per le ultima volontà e non della propria mano.

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Possono disporre testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge, mentre sono incapaci di testare tre categorie: i minori, gli interdetti per infermità di mente nonché gli incapaci naturali, cioè coloro che al momento della redazione del testamento si provi essere stati incapaci di intendere e di volere per qualsiasi causa, anche transitoria, secondo l’articolo 591 del codice civile. Solo che la capacità di intendere e di volere è una capacità puntuale, spiega un notaio, nel senso che è limitata al momento dell’atto: un persona sana che sta attraversando un brutto periodo può essere incapace così come uno schizofrenico potrebbe avere un momento di lucidità. Ma è questo il “cavillo” che innesca, più di frequente le cause per l’eredità, quelle che poi si protraggono per anni a suon di perizie. (p.au.)

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