«Povera Krystyna, una gran lavoratrice che viveva per i tre figli»

Il dolore dell’anziano da cui abitava: «Una donna forte, si alzava alle 4 per mandare soldi ai nipotini in Polonia»

PESCARA. «Vado a pulire le scale e ritorno». La sua borsa è ancora lì, all’ingresso dell’appartamento al piano rialzato di via Milano dove da sette anni Krystyna Miksza abitava con Eliantonio Dolci, il pensionato pescarese che seduto sul divano di casa la piange disperato.

Ma ieri pomeriggio, subito dopo pranzo, Krystyna non poteva immaginare, quando è uscita come al solito in sella alla sua bicicletta, che non sarebbe più tornata. «Andava sempre da una parte all’altra per guadagnare qualche soldo in più da spedire ai nipoti in Polonia», racconta affranto l’anziano, «sempre con la bicicletta. Anche oggi (ieri ndr) è uscita dicendomi che doveva andare a pulire le scale e che sarebbe tornata, ma non sapevo che passava a casa del figlio, di quel figlio che gli dava tanti pensieri, tanti problemi. Ma chi se lo poteva immaginare, chi se lo poteva immaginare. Ecco perché non era ancora tornata, perché l’hanno ammazzata».

È sconvolto il pensionato che non si dà pace per la scomparsa di una donna «brava, forte e in salute, che viveva solo per quei nipoti che aveva in Polonia, per mandargli regali e soldi. «Tutti i suoi sogni sono finiti, tutti i sogni finiti», ripete l’anziano.

Madre di tre figli avuti in giovane età tanto da essere già nonna a 53 anni, Krystyna aveva qui a Pescara solo il più piccolo, il 22enne Arkadiusz, detto Arka, ucciso sotto ai suoi occhi nella mansarda di via Tibullo ieri pomeriggio. Il maggiore, dopo un periodo in Italia era tornato in Polonia dove ha messo su famiglia, mentre la figlia è sempre rimasta lì, anche lei con marito e figli.

Krystyna da sette anni lavorava come badante in via Milano, ma come testimonia il dolore del pensionato che accudiva, in via Milano aveva trovato in realtà l’affetto e la comprensione di una famiglia. E proprio in virtù di questa confidenza, era proprio al signor Eliantonio che raccontava e confidava le sue pene e le sue speranze. «Non ci posso credere, non la rivedo più», ripete Dolci, «finito tutto, non ci posso credere, che brutta fine che gli hanno fatto fare, che brutta fine. Ma gliel’avevo detto di farlo curare quel ragazzo, gliel’avevo detto mille volte, sempre a chiedere soldi stava. Finalmente si era decisa a portarlo al Sert, ma gli avevano dato l’appuntamento a Popoli a giugno. E invece ecco che cosa è successo. Povera, povera Krystyna, è venuta a morire in Italia. Piena di salute stava, che terra maledetta».

Una vita dedicata al lavoro quella di Krystyna che oltre a fare pulizie nelle case, aveva lavorato nella ditta di pulizia dei fratelli Staiano. «È stata tanti anni con noi», riferisce sconvolto il titolare, «andava a fare gli uffici, ma ormai c’era poco lavoro e avevamo interrotto. L’avevo incontrata proprio qualche giorno fa, aveva lasciato un ottimo ricordo, una gran lavoratrice, una bravissima persona. Quando ci siamo visti era sorridente come al solito, sempre con la sua immancabile bicicletta. Oddio quanto mi dispiace, non ci riesco a credere, povera donna, una vita di lavoro, una bravissima persona».

Una vita per la famiglia quella di Krystyna che viveva per i figli e i nipoti e, in particolare, per un nipotino con dei problemi di udito che lei sosteneva a distanza come meglio poteva. E anche il suo ultimo giorno di vita è a loro che ha pensato. «Stamattina (ieri ndr) mi ha aiutato a fare il bagno», riferisce ancora il pensionato, «poi siamo andati in centro, fino a Satur, il negozio di casalinghi in via Mazzini, perché voleva comprare delle pentole da spedire in Polonia. Poi siamo tornati a casa, abbiamo mangiato e lei è uscita dicendomi che sarebbe rientrata subito».

Invece no, perché Krystyna che si alzava alle 4 del mattino per andare a lavorare, che portava avanti la casa in via Milano e andava a pulire a ore da altre famiglie, nella sua giornata piena di fatica riusciva a trovare sempre forze e tempo per andare dal figlio che tante preoccupazioni le dava.

In via Tibullo andava quasi quotidianamente per cucinare, per sistemare la casa, per controllare come andassero le cose, per incoraggiare il suo Arka a cercare un lavoro che invece non arrivava. È per lui che alla connazionale che abita al piano di sotto della mansarda di via Tibullo nei mesi scorsi aveva chiesto un aiuto per trovare una sistemazione provvisoria al ragazzo, ed è per la stima che godeva da parte di tutti che l’amica, una badante polacca, l’aveva accontentata.

Anche ieri, come sempre, Krystyna è andata dal figlio, ma si è trovata in mezzo a un inferno. Poco prima delle 16 ha varcato la soglia della mansarda accolta dalle grida dei due che lottavano ferocemente lì dentro. Ha provato a farsi scudo per proteggere il figlio, ma non ce l’ha fatta: l’altro, seppur sanguinante, ha finito Arka già pugnalato in più punti, con due violente bastonate alla testa e poi ha colpito con il coltello anche Krystyna che dopo un fendente alla gola è crollata a terra anche lei.

Con l’ultimo fotogramma del figlio morente negli occhi, Krystyna ha continuato a respirare fino all’arrivo dei soccorsi chiamati dall’amica che dal piano di sotto ha sentito le urla e poi ha visto il sangue lungo le scale. Ma non ce l’ha fatta Krystyna. Forte, piena di salute, che viveva per i figli, e che per il figlio è morta. Krystyna che iniziava le sue giornate di lavoro alle 4 del mattino in sella alla bicicletta ha smesso di pedalare, ma fino alla fine non ha smesso di amare.

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