la testimone

«Pronti per andare via e poi di colpo l’inferno»

Francesca Bronzi: «Temevamo il terremoto, il titolare dell’albergo ci aveva fatto radunare nella stanza del camino. Poi uno spostamento d’aria violentissimo»

PESCARA. Uno spostamento d’aria violentissimo. Come quello provocato da una bomba. Una bomba che ha scaraventato tutti a terra senza lasciare neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo. Così la 25enne pescarese Francesca Bronzi, una delle undici persone salvate dai soccorritori fino a ieri sera, ha descritto ai familiari i momenti drammatici dell’arrivo della valanga che ha raso al suolo il resort di Rigopiano mentre con il fidanzato Stefano e tutti gli altri ospiti stava aspettando di potersene andare. E già, perché quel giorno c’era stato il terremoto e in albergo nessuno si sentiva più tranquillo. Per questo volevano tutti andare. Solo che la strada era bloccata, maledetta strada. Il racconto di Francesca è drammatico, dettagliato.

E a riferirlo al Centro è lo zio Rodolfo Bronzi, medico dell’emergenza che da quando la nipote è arrivata in ospedale, alle cinque e mezza di ieri mattina, le sta dando tutto il supporto psicologico necessario per superare quello che il medico chiama “choc da catastrofe”. «Dalla mattina di mercoledì», racconta Francesca, «gli uomini andavano fuori dall’albergo a liberare le macchine dalla neve per tenerle libere, già incolonnate e pronte per andare via quando lo spazzaneve sarebbe arrivato a pulire la strada». Nell’albergo isolato da tre metri di neve infatti non è tanto quella neve a far paura, quanto le tre scosse di terremoto della mattina che hanno smorzato gli entusiasmi delle famiglie e delle coppie arrivate nel resort appena il giorno prima. Da quando, il martedì pomeriggio, il gestore dell’albergo aveva iniziato a sollecitare l’intervento degli spazzaneve perché la strada in serata era già oltre il limite. Sollecitazioni che si fanno più incalzanti quando, dopo il terremoto, gli ospiti dicono di volersene andare, assolutamente. Ma la notte ha nevicato ancora, la strada è ormai impraticabile e lo spazzaneve non arriva. «In attesa dei mezzi per pulire la strade», ricorda ancora Francesca, «il titolare dell’albergo ci ha fatto radunare nella stanza del camino a piano terra, vicino a quella dei giochi che forse riteneva più sicura». E lì, all’improvviso, mentre Francesca è seduta su una poltroncina vicino al camino, con i quattro bambini che giocano a biliardino nella stanza attigua, si scatena il finimondo. «All’improvviso c’è stato uno spostamento d’aria fortissimo, un soffio potentissimo arrivato anche dal camino, che ci ha scaraventato tutti a terra, anche lontano. La mia poltrona si è ribaltata e sono finita sotto». A terra, accanto a Francesca c’è anche Giorgia Galassi, studentessa di Giulianova di 22 anni che come la 25enne pescarese finisce sotto la poltroncina dov’era seduta un istante prima. E’ così che le due diventano compagne di un dramma spaventoso durato più di 50 ore.

Ore infinite che scorrono lentissime sotto le macerie dell’albergo raso al suolo. E che Francesca riallinea faticosamente nella sua memoria. Racconta ancora: «Nelle prime due tre ore solo disperazione, ci chiamavamo, faceva freddo, era tutto buio». A stento Francesca, che si ritrova rannicchiata sotto la poltroncina a un palmo dal solaio crollato, riesce a infilarsi il giubbino che aveva poco prima sulle spalle. I cellulari, per chi li ha ancora addosso, sono inservibili. «Eravamo tutti convinti di morire, poi a poco a poco qualcuno ha iniziato a gridare di tenere duro: “Ce la facciamo”. diceva». Francesca, che continua a tenersi per mano con il fidanzato Stefano, si sostiene con la neve che le passa Giorgia, stesa a terra accanto a lei. È così che si idrata mentre le ore passano interminabili. Fino ai primi rumori. Sono quelli dei volontari del soccorso alpino arrivati con gli sci all’albergo distrutto alle cinque del mattino, e mentre la colonna dei mezzi di soccorso procede ancora a passo d’uomo dietro la turbina arrivata a liberare la strada quando il dramma si era ormai compiuto. I volontari, che mettono in salvo subito i due superstiti trovati fuori dall’albergo, iniziano girare intorno alle macerie coperte dalla neve. Cominciano a chiamare, sperando di udire segni di vita. E quando, da sotto, li sentono, chi ce la fa inizia a urlare. «Abbiamo fatto la gara a chi urlava di più», riferisce Francesca. È la mattina di giovedì quando al capezzale dell’albergo, sfigurato dalla valanga, sono finalmente arrivati i soccorritori. Si sentono le radio e sotto, tra chi è salvo, inizia a farsi largo la speranza che, forse, ce la possono ancora fare, davvero. Solo che il confine tra la vita e la morte corre sul filo dei centimetri. Francesca, come riferisce ai familiari, è praticamente murata, imprigionata in uno spazio angusto che la lascia respirare solo grazie alla poltroncina che l’ha protetta un poco. Mentre il freddo inizia a scemare. Quando, finalmente, spinti dalle voci e dalle grida, i soccorritori individuano la zona dove il gestore aveva fatto radunare più persone possibile, s’intravedono le prime luci. Sono i soccorritori che stanno scavando con tutti i mezzi e le attenzioni possibili. I primi a essere tirati su sono i bambini. Poi si cerca di individuare gli adulti, quelli che da sotto rispondono e forniscono i propri nomi. Ma non basta scavare per tirarli fuori. Una volta individuata la persona, bisogna metterla in sicurezza, con una sorta di carotaggio attorno al buco per evitare crolli durante le operazioni. Tocca a Francesca. È notte, sono le 4 passate quando esce. E’ frastornata dalle luci e dai rumori. Ma non pensa a se stessa. E la prima cosa che dice è: «C’è Stefano là sotto, andate da lui».

©RIPRODUZIONE RISERVATA