Lo scalo insabbiato

Quasi un anno di chiusura del porto pescarese

PESCARA. Scattano oggi 360 giorni da quando l’ordinanza della Capitaneria di porto ha disposto la chiusura dello scalo cittadino: quasi un anno che le 60 imbarcazioni non salpano per la pesca e il...

PESCARA. Scattano oggi 360 giorni da quando l’ordinanza della Capitaneria di porto ha disposto la chiusura dello scalo cittadino: quasi un anno che le 60 imbarcazioni non salpano per la pesca e il mare aperto e che i 166 lavoratori dipendenti trascorrono le giornate con le braccia incrociate, ciondolando tra l’associazione armatori, il lungofiume Paolucci e il Bar del porto nella speranza di ricevere qualche notizia positiva sull’avvio delle operazioni di dragaggio.

L’intera categoria che ruota intorno al mare è in attesa di ricevere risposte certe dalla Sidra, la ditta romana che si è aggiudicata l’appalto, dalla Direzione marittima e dai rappresentanti delle istituzioni cittadine che si sono esposti per risolvere la vicenda dello scalo insabbiato. «Noi vogliamo solo lavorare», dicono i marinai, «vogliamo che la politica ci metta in condizioni di tornare a fare ciò che sappiamo fare meglio: buttare le reti e raccogliere i pesci da vendere al mercato ittico. Solo così possiamo mantenere le nostre famiglie e dare da mangiare a mogli e figli». I pescatori ripetono di non cercare «l’elemosina della cassa integrazione o degli ammortizzatori sociali», ma di essere in attesa che il porto di Pescara si rimetta in moto per riprendere a funzionare a pieno regime. «Anche se dovessimo uscire da questo stallo», sottolinea Massimo Camplone, «ci aspettano dai due ai tre anni di sacrifici. La crisi c’è e il pesce è diventato un prodotto pregiato che costa caro. Dobbiamo convincere la gente a ritornare a comprare da noi. Non sarà facile».

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