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Ricostruzione: ma Norcia non era sicura?

La cittadina umbra era un modello di buona prassi antisismica, la scossa di domenica dice che c’è ancora molto da imparare. L’Aquila può essere il laboratorio giusto

La seconda scossa delle 7,40 di domenica 30 ottobre che a L'Aquila è "arrivata" forte (non se ne avvertiva una simile da quella, tragica, delle 3.32 del 6 aprile 2009). E ha avuto l'effetto di una frustata. Reale e metaforica. Ci ha detto che ora il re è nudo. Il terremoto è con noi, sotto di noi, dentro di noi. E lo sarà ogni giorno, ogni momento.

Nel capoluogo d'Abruzzo per anni è stato ripetuto (non pubblicamente ma nei conversari familiari o al bar) che la città poteva stare tranquilla per i prossimi trecento anni (tanti ne erano passati dal sisma catastrofico del 1703) e che si doveva certo ricostruire in sicurezza, ma senza farsi prendere da troppe ansie. La scossa di ieri mattina ci ha detto che non è così. E ora nessuno può più far finta di nulla. Ho riletto l'articolo di un giornale, scritto dopo il terremoto di due mesi fa ad Amatrice, nel quale venivano cantate le lodi di Norcia, cittadina colpita dal sisma del 1997 e ricostruita “in maniera perfetta”. Ieri abbiamo saputo che il borgo antico è stato evacuato per crolli e danni diffusi. Persino le suore di clausura sono state costrette a fuggire dal loro eremo di preghiera. Ci consola il fatto che non stiamo contando le vittime. È questo è certo la cosa più importante. Ma dobbiamo porci problemi seri su cosa significa ricostruire in sicurezza. Dalle notizie emerse nella giornata di ieri L'Aquila, dopo la scossa delle 7,40, è passata dalla paura alla conta dei danni. Le zone rosse del centro storico _ spesso invase da migliaia di giovani per la movida dei fine settimana _ si sono svelate: nonostante i puntellamenti _ che furono uno dei primi grandi affari, leciti fino a prova contraria, del post sisma _ sono precarie e quindi molto pericolose. Aver giocato in questi anni con la retorica del “torniamo al più presto nel cuore della città” con tutto lo “strascico” di frasi dialettali al limite della banalità, ora rischia di far pagare pegno a coloro, e sono tanti, che sul riavvio delle attività commerciali ci ha scommesso e molto. Il sindaco dell’Aquila ha deciso di firmare una ordinanza per abbattere un edificio all'incrocio fra corso Federico II e via XX Settembre meglio noto come il palazzo del benzinaio. Si poteva fare prima? Inutile porsi adesso questa domanda, ma la scossa di ieri impone una riflessione anche sulla sostenibilità sempre e comunque, dentro un centro storico, del cosiddetto miglioramento sismico – rispetto all'abbattere e rifare da capo – soprattutto se si tratta di edifici di scarso pregio. I tecnici risponderanno che con le tecniche e le leggi antisismiche attuali possiamo stare al sicuro. Ma i dubbi di chi deve convivere con la terra ballerina sono più che leciti. Anche questo continuare a insistere _ lo ha ribadito ieri pure il premier Renzi _ sul dov'era e com'era è la scelta più giusta? O qualcosa deve essere ripensato proprio in funzione della sicurezza sia in città che nei paesi: creazione di vie di fuga, di spazi aperti (magari utilizzando le aree cedute al Comune da chi ha scelto l'abitazione equivalente), di locali attrezzati al primo soccorso e quant'altro. C'è poi un'altra questione che la scossa ha imposto come necessaria riflessione: la protezione civile per essere efficace deve partire dalle singole famiglie. Tutti dovrebbero sapere cosa fare in caso di pericolo, senza isterismi ma con la massima lucidità. Dentro ogni famiglia ci dovrebbe essere una sorta di “responsabile” di protezione civile. Chi scrive, nel 2009, non esercitò quella responsabilità e ne ha pagato le peggiori conseguenze. Oggi L'Aquila potrebbe diventare il laboratorio di una filosofia di vita che deve considerare il terremoto un capriccioso e a volte cattivissimo compagno di viaggio ma col quale bisogna fare i conti. Va bene “Casa Italia” e va bene pure il libretto di fabbricato ma serve di più: uno slancio di civiltà e di responsabilità collettiva che deve originare da una semplice riflessione: cosa diranno le future generazioni se a fronte di una fortissima scossa all’Aquila torneranno morte, distruzione e dolore? Nessuno ce lo perdonerà come forse noi _ soprattutto chi piange i propri cari _ non lo perdoniamo a chi in passato ha costruito nel nome del dio denaro senza tenere conto delle vite umane. Le esercitazioni di protezione civile dovrebbero diventare come il cappuccino e il cornetto al mattino: un fatto normale, non un sacrificio. Questo deve insegnarci la scossa di ieri. Il momento non è più rinviabile: serve un cambio di mentalità radicale. L'Aquila tanti anni fa fu dichiarata città denuclearizzata. Oggi il consiglio comunale la dichiari “città nemica dei terremoti”. E da ora in poi combattiamo con tutte le armi che abbiamo a disposizione. Qualcuno a suo tempo ce ne sarà grato.

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