«Ridurre le poltrone non significa fare a meno della mala politica»

Gianluca Monaco spiega le ragioni del “no” alla proposta di unire la città con Montesilvano e Spoltore «Bisogna fare i conti col patto di stabilità, per cambiare le cose servirebbero almeno 250mila abitanti»

PESCARA. «Eliminare i costi di politici e dirigenti potrebbe non voler dire affatto offrire un servizio migliore, perché l'area da coprire dall'ipotetico unico gestore avrebbe bisogno delle stesse unità di personale e mezzi utilizzato dai tre Comuni». Mentre continua il dibattito sulla Nuova Pescara, a un mese esatto dal referendum sull’unione dei tre Comuni (Pescara-Montesilvano-Spoltore) si fa sentire anche il fronte del “no” che, pur non avendo una sede, non rinuncia a rappresentare le istanze di chi non vede di buon occhio questa fusione.

«Il comitato che promuove il “sì”», incalza Gianluca Monaco, coordinatore del fronte opposto, «sorge dove prima c'erano negozi (in via Carducci ndr) che hanno dovuto chiudere per l'affitto troppo alto e che vede una massiccia campagna di comunicazione senz'altro costosa. La prima domanda da porsi è: “chi paga per tutte le loro spese ?”» .

«Altra da domanda da porsi», prosegue, «riguarda il perché dell’esclusione da questa operazione metropolitana il Comune di San Giovanni Teatino e quello di Francavilla che rientrano in un'area “naturale” metropolitana. Che fretta c'è per escludere questi due Comuni?», chiede Monaco. «Noi riteniamo che una “vera” area metropolitana debba includere anche questi ultimi due Comuni per poter superare la soglia dei 250mila abitanti che prevederebbe maglie più larghe per quanto riguarda il bilancio del Comune unico in base ai patti di stabilità che tanto preoccupano i promotori del referendum».

A tal proposito, il Comitato Pescara-Montesilvano-Spoltore aveva giudicato poco probabile un’unione di Comuni di due province diverse (in questo caso si parla di Chieti). «Con l’attuale normativa», riprende la nota del comitato opposto alle ragioni del referendum, «i tre territori dovranno essere amministrati soltanto con il bilancio del Comune di Pescara e, pur riducendo il numero dei politici e dei dirigenti, il grosso peso del documento finanziario è rappresentato dai dipendenti di Spoltore e Montesilvano che non potranno essere licenziati ma assorbiti». Poi un’analisi nel dettaglio dei costi della politica: «si evince che questi pesano rispettivamente lo 0,57% sul bilancio di Pescara, lo 0,74% sul bilancio di Montesilvano e 1,20% sul bilancio di Spoltore.

È necessario che gli sprechi vadano eliminati in quanto tali ma se per sprechi si intendono le rappresentatività politiche territoriali ci meravigliamo di come i promotori possano parlare di democrazia e di partecipazione. Inoltre, ridurre la politica non significa eliminare la mala politica».

Nella nota dei comitati del “no” si parla anche dei servizi: «I costi della gestione rifiuti», si legge, «vanno ridotti a monte, evitando un monopolio di gestione degli impianti e delle discariche e attuando altre politiche sulla raccolta rifiuti. Tornando al discorso dei “conti” pubblici, i benefici che stanno ventilando sono a scadenza temporale, al termine del decimo anno, mentre l'apparato pubblico continuerà per sempre ad amministrare, a meno che non lo si voglia eliminare».

Il comitato coordinato da Monaco teme anche che questo processo metta la gestione dei servizi primari pubblici in mano a privati. «Per le tasche del cittadino ci sarà soltanto un gravame dovuto ai patti di stabilità e ciò che verrà privatizzato non ricadrà nel suo portafogli perché i servizi li dovrà pagare ugualmente e sarà alla mercè del mercato dei gestori privati».

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