Rigopiano: ritardi, abusi, omissioni. Ecco le accuse a tutti gli indagati

Dall'ex prefetto al presidente della Provincia, ai tecnici comunali. La Procura punta l'indice contro l'intera catena dei soccorsi e le procedure di ristrutturazione dell'hotel

PESCARA. Ecco le ipotesi di reato contestate dalla Procura di Pescara a ciascuno dei 23 nuovi indagati nell'inchiesta di Rigopiano.

IL CROLLO E LA CARTA VALANGHE. I dirigenti regionali Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Vittorio Di Biase, Emidio Primavera e Sabatino Belmaggio risultano indagati in concorso tra di loro per aver omesso atti che avrebbero evitato il crollo colposo del Resort di Rigopiano.

Pierluigi Caputi

I cinque dirigenti regionali sono finiti sotto inchiesta, sempre in concorso tra di loro e per aver omesso la realizzazione della Carta per il pericolo delle valanghe, per omicidio colposo delle 29 vittime del disastro e di lesioni colpose nei confronti di altre 9. Gli ex sindaci è l'attuale primo cittadino di Farindola, Massimiliano Giancaterino, Antonio De Vico e Ilario lacchetta, insieme a Luciano Sbaraglia, tecnico geologo, e ad Enrico Colangeli, responsabile dell'ufficio tecnico comunale, sono a loro volta indagati per crollo colposo sempre in relazione all'attività omissiva che in questo caso si riferisce alla mancata adozione del nuovo piano regolatore generale del Comune di Farindola. Se esso fosse stato approvato, sostiene l'accusa, avrebbe impedito l'edificazione del nuovo hotel Rigopiano e quindi la tragedia.

Ilario Iacchetta

Gli stessi sono indagati per le 29 morti e le 9 persone che hanno subito lesioni. Anche in questo caso il reato ipotizzato dal procuratore capo di Pescara Massimiliano Serpi è il sostituto Andrea Papalia, è a titolo colposo. Cioè per imperizia, imprudenza o negligenza.

I PERMESSI. La terza parte del capo di imputazione sui 23 indagati riguarda Marco Paolo Del Rosso, l'imprenditore che chiese l'autorizzazione a costruire il resort, Antonio Sorgi, direttore della Direzione parchi territorio ambiente della Regione Abruzzo e, ancora una volta, il tecnico comunale Enrico Colangeli: tutti e tre indagati per abuso e falso ideologico.

Antonio Sorgi

In questo caso l'inchiesta è sul permesso rilasciato nel 2006 per la ristrutturazione del complesso alberghiero quando l'area era soggetta a vincolo idrogeologico. La Procura sospetta che i tre senza questa autorizzazione, e attraverso i delitti di falso e abuso d'ufficio, permisero la realizzazione dell'edificazione del nuovo resort con annesso centro benessere, eludendo il pericolo di valanghe al quale il sito era esposto. E tenendolo aperto e accessibile anche alle autovetture in pieno inverno prescindendo, sostiene sempre l'accusa, dalla intensità delle precipitazioni nevose.

OMISSIONE DEI RISCHI. Negli avvisi di garanzia compaiono poi i nomi di Bruno Di Tommaso, amministratore unico della società Gran Sasso Resort & Spa Srl che gestiva l'hotel Rigopiano; Andrea Marrone, consulente incaricato da Di Tommaso per adempiere le prescrizioni in materia di prevenzione infortuni. I due, come i precedenti indagati, devono rispondere dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose oltre che di crollo colposo in quanto, scrive il magistrato, nell'aggiornare i documenti di valutazione dei rischi, omettevano di valutare quello riferito alle valanghe nonché quello di isolamento per ingombro-neve sulla strada di accesso e di connesso rischio infortunio malore di ospiti. A loro due si aggiunge quindi il nome di Giuseppe Gatto nella qualità di tecnico redattore della relazione che la società aveva allegato alla richiesta.

Antonio Di Marco

L'EMERGENZA. Seguono i nomi di Antonio Di Marco, presidente della Provincia di Pescara; Paolo D'Incecco, dirigente del settore Viabilità referente di Protezione civile della Provincia; Mauro Di Blasio, responsabile degli stessi servizi; Giulio Honorati, comandante della Polizia provinciale di Pescara e Tino Chiappino, tecnico reperibile secondo il piano di reperibilità provinciale. Il loro ruolo si sarebbe consumato nel momento dell'emergenza che ha preceduto il ritrovamento dei corpi. La Procura, in considerazione del loro operato a partire dal 15 gennaio 2017, sostiene che nessuno di essi adottava le condotte dovute affinché nell'ambito delle procedure del piano di reperibilità, si attivasse la fase di attenzione e, a seguire, di preallarme e infine di allarme. Ai cinque viene anche contestata la mancata attivazione della sala operativa di Protezione civile e la doverosa ricognizione dei mezzi spazzaneve con la chiusura al traffico del tratto di strada della Provinciale 8 che da Farindola risale fino a Rigopiano. Da qui le ipotesi anche nei loro confronti di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose per 9 persone.

Francesco Provolo

I RITARDI. Dello stesso reato infine devono rispondere l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il dirigente dell'area Protezione civile, Ida de Cesaris e il capo di gabinetto del prefetto Leonardo Bianco: l'accusa per loro sostiene che soltanto all'esito della riunione in Prefettura del 18 gennaio del Comitato per l'ordine pubblico, a partire dalle ore 10, venivano invitati gli operatori della stessa Prefettura a scendere nella sala della Protezione civile, determinando così in ritardo la reale operatività del Centro coordinamento soccorsi. L'accusa infatti conclude contestando all'ex prefetto Provolo di "essersi attivato troppo tardi, e solo alle ore 18,28 del 18 gennaio 2017, nel chiedere l'intervento di personale e attrezzature dell'Esercito per lo sgombero della neve nei paesi montani della provincia di Pescara e di far richiedere tre turbine spazzaneve alla Sala operativa della Regione determinando le condizioni per cui la strada provinciale dall'hotel Rigopiano al bivio Mirri, lunga 9,3 chilometri, fosse impercorribile e quindi di rendere impossibili a tutti i presenti dell'albergo ospiti e personale di allontanarsi dallo stesso".

RIPRODUZIONE RISERVATA