Spending review, province da abolire in Abruzzo L'ira del sindaco Mascia: Pescara mai sotto Chieti

Il primo cittadino pescarese contro l’ipotesi di accorpamento delle Province. Di Primio (Chieti): ormai è un processo irreversibile

PESCARA. Pescara sotto Chieti. Potrebbe essere questo l’esito finale del taglio del numero delle Province disposto dal governo Monti con la spending review. In Abruzzo dovrebbero scomparire due province su quattro: a rischio Pescara e Teramo, che non rispondono ai requisiti imposti dal governo e per questo finirebbero fagocitate rispettivamente da Chieti e L’Aquila.

Un’ipotesi difficile da accettare per i pescaresi, vista la storica rivalità tra le due città. La discussione anima Facebook e provoca reazioni a catena a tutti i livelli, prima di tutto istituzionali. «Rifiuto i beceri campanilismi, ma se si insulta Pescara sono pronto a salire sulle barricate», afferma il sindaco Luigi Albore Mascia rispondendo al presidente della Provincia di Chieti Enrico Di Giuseppantonio che al Centro aveva detto: «Se si fonderanno le Province di Chieti e Pescara, il capoluogo non potrà che essere Chieti». Le dichiarazioni del presidente teatino non si discostano però dalle disposizioni del governo. Lo sottolinea lo stesso Di Giuseppantonio, che attualmente riveste anche la carica di presidente regionale dell’Unione delle Province italiane. «Non decido io la soppressione e l’eventuale fusione delle Province», dice, «al mio posto Mascia avrebbe detto le stesse cose».

Ma il sindaco di Pescara non ci sta, in ogni caso. «Sono errate le premesse da cui parte l’amico Di Giuseppantonio», afferma, «quando dice che Chieti diventerà naturalmente il capoluogo della nuova Provincia Pescara-Chieti perché “ha una storia più lunga di capoluogo di Provincia, oltre che una tradizione di città degli uffici”, è evidente che non ha ben approfondito la storia di Pescara». E per tutta risposta, Mascia invia a Di Giuseppantonio “La grande storia di Pescara-Castellamare dalle origini al XX secolo”. Un volume di 600 pagine scritto da Licio Di Biase, che Di Giuseppantonio promette di leggere «con attenzione». Un segnale di distensione tra due città da sempre contraddistinte da un forte campanilismo, che ora rischia di inasprirsi.

I tre requisiti ipotizzati dal governo per il mantenimento dello status di Provincia sono chiari: almeno 350mila abitanti, almeno 50 Comuni, 3mila chilometri quadrati di estensione. Ne servono due per salvarsi. In Abruzzo, Chieti e L’Aquila rispondono a due di questi requisiti, Pescara e Teramo invece non hanno né un’estensione sufficiente né il numero di residenti richiesto. Ma in queste ore, critiche e suggerimenti fioccano da ogni lato, e le divisioni politiche sembrano cancellate da una sorta di “orgoglio pescarese”.

«Non è mai esistita e mai esisterà una subalternità di Pescara a Chieti», afferma il presidente della Provincia di Pescara Guerino Testa, «non si può ignorare che oggi Pescara è un centro propulsivo, e di certo questa provincia non può essere relegata a periferia di Chieti». Sulla stessa linea anche Lorenzo Sospiri e Federica Chiavaroli del Pdl: «Pescara è la capitale economica dell’Abruzzo, e un centro di interesse provinciale lo si sceglie non per ciò che accadeva 2mila anni fa, ma per l’interesse attuale».

«Tutto possiamo permetterci», afferma Silvio Paolucci, segretario del Pd, «fuorché lasciare che sia lo Stato centrale a decidere con un tratto di penna il destino delle autonomie locali: la riforma può mascere dal basso, a condizione che la Regione di Chiodi esca dal suo silenzio imbarazzante che dimostra una grave debolezza politica».

«La soluzione migliore», rilancia Emanuele Mancinelli dell’Idv, «è che Chieti e L'Aquila rimangano integre, e che Teramo possa integrarsi con Pescara, naturale prosecuzione del turismo estivo e balneare, anima e fulcro commerciale e promozionale dell'intera regione, snodo ferroviario, scalo portuale e aereoportuale d'Abruzzo».

Per Maurizio Acerbo, consigliere regionale di Rifondazione, «le dichiarazioni di Di Giuseppantonio servono solo a seminare discordia e a rianimare conflitti campanilistici». Secondo Carlo Masci di Pescara Futura-Rialzati Abruzzo, «l’eliminazione della Provincia di Pescara produrrebbe il paradosso di una città sede di Regione e non di Provincia».

Antonio Di Marco del Pd richiama Di Giuseppantonio al suo ruolo di presidente dell’Upi: «Dovrebbe difendere tutte le Province della nostra regione e non solo quella nella quale è stato eletto presidente. Prima di decidere quale Provincia debba chiudere, bisogna valutare le circostanze e attivare un tavolo di lavoro».

Per Roberto Santuccione dell’associazione Pescara Capoluogo d'Abruzzo, «Pescara non è terra di conquista e quelle di Di Giuseppantonio sono dichiarazioni inaccettabili.Vorrei ricordare al presidente teatino che Pescara esisteva già al tempo dei faraoni».

«È giusto che i pescaresi facciano di tutto per difendere la propria Provincia fino all’ultimo, ma un’aggregazione sarebbe positiva». Il sindaco di Chieti, Umberto Di Primio, dice sì alla fusione delle due Province: per lui è una soluzione possibile, purché gestita con capacità. «Ormai il processo di accorpamento è irreversibile», spiega Di Primio, «e credo sia positivo se davvero porterà ad una riduzione dei costi e ad una razionalizzazione dei servizi. Non sono mai stato d’accordo con l’idea dell’area metropolitana Chieti-Pescara. Ma penso che creare una provincia unica di 700mila abitanti sarebbe una possibilità per diventare la parte più importante dell’Abruzzo. La nuova area comprenderebbe più della metà dei cittadini abruzzesi». Resta però qualche nodo da sciogliere: «Bisognerebbe affrontare i problemi delle prefetture», prosegue il primo cittadino, «va gestito tutto con equilibrio». Oltre a tagliare i costi di gestione degli enti, la riduzione delle Province offrirebbe nuove possibilità ai municipi. Secondo Di Primio «ai comuni andrebbe data più forza, sarebbe un’occasione per il rilancio di un’area vasta».

E se fosse la Provincia di Chieti a rischiare di scomparire sotto i colpi della revisione della spesa? «Capisco chi difende il proprio campanile, a parti inverse lo farei anch’io», ammette Di Primio, «ma se la decisione del governo Monti non dovesse retrocedere dobbiamo impegnarci al massimo e trovare un percorso comune per fare in modo che la nuova area renda migliori e più efficienti i servizi per i cittadini».

(ha collaborato

Francesca Rapposelli)

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