Striano, detto Sasà: l’ex camorrista rinato in Abruzzo

I crimini e il carcere, poi la nuova vita a Montesilvano fino alla chiamata per partecipare al film “Gomorra”

PESCARA. Napoli, anni Ottanta. Gli anni degli scudetti di Diego Armando Maradona. Di Nino D'Angelo che trasforma e traghetta la sceneggiata napoletana in una nuova dimensione che è la musica neomelodica. Gli anni della guerra tra la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia per il controllo delle attività criminali nel centro di Napoli. In quegli anni e in quel contesto nasce un nuovo gruppo criminale che sarà battezzato dalla stampa locale, le "Teste Matte". Un gruppo di ragazzi dei Quartieri Spagnoli, il centro del centro di Napoli, che dichiara guerra totale alla camorra. A tutti i clan della camorra.

«È tutto vero, i fatti sono quasi tutti reali, quello che è romanzato sono le dinamiche, i responsabili reali. Ho cercato di restituire frammenti di vita vera. Come mangiano, come vivono i camorrristi. Ho cercato di mettere in mostra come si muovono quei personaggi. Un po' come entrare nella giungla. Una sorta di vadevecum, un manuale di sopravvivenza». Chi parla è Salvatore Striano, più conosciuto come Sasà, autore con Guido Lombardi di "Teste Matte". Un romanzo che è insieme un'autobiografia e una storia della criminalità napoletana della fine del secolo scorso.

Una storia che inizia quando Sasà e Totò, suo cugino, sono bambini. Bambini costretti a diventare grandi prima del tempo. Bambini la cui crescita è dettata e scandita dal crimine. Dapprima piccoli furti e contrabbando di sigarette, poi cocaina e omicidi. Il romanzo di una vita che sta per finire e che invece ha la capacità di autorigenerarsi e rinascere dalle proprie ceneri.

«Si combatteva colpo su colpo, il nostro credo era non diventare come loro, la camorra, ma il rischio di somigliarle era sempre più alto. Abbiamo fatto una rivoluzione, abbiamo destabilizzato il potere dei boss dicendo no una, dieci, cento volte a ogni cattiva richiesta che fosse un'estorsione, un abuso, un ricatto. Eravamo contro tutti, con il solo appoggio della brava gente del quartiere. La nostra storia è cominciata quasi per gioco una mattina di trent'anni fa. A nove anni e già orfani dell'innocenza». Per difendersi dalla camorra ha dovuto far parte integrante della camorra. Lo ha fatto per conoscerla dal di dentro, per studiare i meccanismi che la governano e poterla combattere. Una sorta di discesa verso l'inferno che ha lasciato per strada tante vite e lacerato interi nuclei familiari.

«In questo libro ho voluto raccontare quello che succedeva in quell'ambiente. I perché, le dinamiche. Spiegare come succedono alcune cose». Una narrazione avvincente che arriva in modo diretto, senza intermediazioni. Che utilizza un linguaggio semplice, in alcuni passaggi una sorta di lingua parlata, accessibile a tutti e in grado, anche per questa ragione, di essere coinvolgente. Un viaggio lacerante attraverso il malaffare e la morte che trova il riscatto nel momento in cui meno te l'aspetti. Un riscatto che avviene dopo aver pagato il proprio conto con la giustizia, tre anni di carcere in Spagna e 5 in Italia, e che riparte da Montesilvano e Pescara. Si perché Sasà Striano sconta la sua pena e dal carcere non ritorna subito a Napoli, ma decide di ricominciare la sua vita proprio in Abruzzo. «Non volevo tornare a Napoli, dove avevo combinato solo guai. Sono venuto in Abruzzo, una regione dove i fenomeni di criminalità organizzata erano quasi inesistenti. Il luogo giusto dove ricominciare a vivere. A Montesilvano viveva mio suocero, fratello di un collaboratore di giustizia molto noto, che per ragioni di opportunità era venuto a vivere in Abruzzo. A Montesilvano sono stato "adottato" da Antonio Belmonte, il proprietario del bar Time Out che mi ha dato l'opportunità di ricominciare».

E dunque a Montesilvano ricomincia la vita di Sasà. Gli piace il suo nuovo lavoro soprattutto perché dopo tanti anni di carcere gli consente di vedere persone nuove e diverse ogni giorno. Così come gli piace il lungomare, «un lungomare bellissimo quello di Pescara, uno dei più belli che abbia mia visto. E mi piacevano gli abruzzesi, gente con un grande senso civico e un rispetto innato per la persona umana».

E proprio mentre lavora a Montesilvano giunge la telefonata di Matteo Garrone che sta lavorando al film "Gomorra". Gli chiede di partecipare al film come attore e da quel momento la vita di Sasà cambia decisamente direzione. Un’epifania. Da quel momento le "teste matte" diventano realmente il passato, e il cinema, il teatro un modo nuovo per vivere la vita.

Italo Calvino ha scritto ne "Le città invisibili": «L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio», e Garrone, forse inconsapevolmente, è stato capace di riconoscere e dare spazio a un piccolo bambino diventato uomo in carcere.