Sulla piattaforma aspettando Ombrina / Video

Come si lavora su un impianto petrolifero simile a quello previsto in Abruzzo. Viaggio del Centro al largo della Sicilia: i rischi, le precauzioni e le risorse

Alle ore 12 in sala mensa si mangia Ombrina al forno. Lo chef Giuseppe, d’origine calabrese, dice che è una coincidenza. Non sapeva che saremmo arrivati quaggiù, a bordo della più grande piattaforma petrolifera nel mare di Sicilia, sull’onda delle proteste in Abruzzo contro il progetto Ombrina della Medoilgas al largo della costa teatina. «Il pesce Ombrina è molto diffuso, è buono, assaggiate; sulla piattaforma che vogliono fare da voi, nulla so. Io però qui sto bene».

La nostra piattaforma è Vega, della Edison, e si trova a 11,6 miglia (quasi al limite delle acque territoriali) dalla riva di Pozzallo (provincia di Ragusa). I suoi 16 pali d’acciaio si conficcano a 140 metri di profondità e i tubi tirano su petrolio grezzo da 20 pozzi collegati a un giacimento a 2.600 metri nelle viscere del fondale di sabbia e roccia.

Il confronto con il progetto Ombrina Mare ci sta nel processo di estrazione e lavorazione degli idrocarburi e nella valutazione del rischio d’incidenti, quindi dell’impatto ambientale; non sulla grandezza dell’impianto e sulla distanza dalla costa, elementi che sono nettamente a favore di Vega. Ombrina Mare, infatti, se il suo iter autorizzativo andasse a termine, sarebbe molto più piccola, ma estrarrebbe una quantità doppia di petrolio rispetto a quella di Vega. E a una distanza dalla costa teatina pari a circa un terzo dell’impianto che ci apprestiamo a visitare.

Su Vega si ha l’impressione di essere su un altro pianeta, isolati nel mare, con le folate di vento che spazzano via i miasmi del greggio e che avvolgono l’impianto in produzione 24 ore 24. È una sorta di villaggio galleggiante che si erge per 40 metri dal blu cobalto del mare alternando pontoni in ferro, livelli abitativi (sale di controllo, uffici, spazi comuni, alloggi), gru e, in cima, la piazzola d’atterraggio e decollo dell’elicottero giallo dell’Inaer di base a Siracusa.

Distanza. Da quaggiù sono più vicine le grandi navi che solcano a sud il canale con rotta Africa e Asia piuttosto che le case che spuntano a nord dalla terra siciliana. Dodici miglia in mare aperto sono tante; le 4,6 (circa 6 chilometri) di Ombrina e in una mare “chiuso” come l’Adriatico sono forse poche, anche se chi va per mare sa bene che le distanze in acqua sono comunque diverse da quelle sulle terra ferma.

Nave serbatoio. Tra Vega e la costa si interpone solo la nave-serbatoio Leonis, una petroliera a doppio scafo (sprovvista di apparato motori), agganciata in modo permanente a uno snodo galleggiante. È attraverso di esso che arriva il petrolio “pompato” nei tubi dalla piattaforma. La stessa cosa prevede Ombrina con la differenza che la petroliera sarebbe fissa a 10 chilometri dalla costa teatina.

Lavoro e appalti. Per arrivare su Vega occorre mezz’ora di volo, in alternativa c’è il battello (“supplier”) di servizio che svolge assistenza, trasporta forniture di ogni tipo e il personale della piattaforma che si dà il cambio ogni 14 giorni: l’unico segno temporale che conta per 5 mesi all’anno. Questo perché, una volta sulla piattaforma, per 14 giorni si deve lavorare. Lavorare e basta, rispettando i turni dalle 7 alle 20 e scadenzati da 4 break in sala mensa: colazione, pizza, pranzo, merenda,cena. E quando si “stacca”, in realtà la testa rimane sempre in allerta per qualsiasi reperibilità dettata da controlli, emergenze, maltempo (qui il vento può arrivare a 60 nodi).

Su Vega lavorano in 36. Sono per la maggior parte siciliani elettricisti, meccanici, carpentieri, tubisti (oltre a due cuochi), tutti addetti alla manutenzione e contrattualizzati da ditte esterne alle quali è stato dato l’appalto. Fra queste imprese in Sicilia prevale quella della famiglia dell’ex ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo il cui decreto aveva fermato l’iter di Ombrina. La gestione dell’impianto, il controllo della produzione è in mano a 5 operatori della Edison.

Turni alienanti. «Vega è stata realizzata nel 1987 e va mantenuta efficiente e “pulita”, spiega Maurizio Di Mauro, il capo piattaforma, due figli ad Augusta che vede ogni 14 giorni: «Questo è un lavoro che deve piacere per quanto sia alienante, io lo svolgo da 25 anni e mi sono adeguato bene ai suoi tempi. Quando torno a terra divento un pantofolaio, penso alla famiglia, vado al cinema. Se lo consiglio ai giovani? Intanto sarebbe già una fortuna trovarlo. Poi, sì, lo consiglio a chi vuole formarsi, responsabilizzarsi, condividere un tipo di vita diverso e che in prospettiva, secondo me, continuerà ad essere affascinante». Dato non trascurabile è che in 14 giorni di lavoro in mare (e 14 giorni di riposo) si può arrivare a mettere in tasca anche 3mila euro. In pratica 15mila euro in cinque mesi: non male, considerando che qualcuno può sempre avere la fortuna di svolgere un’altra attività (o dare una mano alla moglie in negozio) quando è a casa.

Petrolio grezzo. Su Vega il petrolio viene estratto grezzo (quasi catrame) e quindi lavorato. Come? Viene reso fluido aggiungendo gasolio e viene pulito dal gas. Quest’ultimo è in parte bruciato (fiammella sempre accesa) e in parte reimpiegato per produrre i servizi della lavorazione stessa. In questo modo la piattaforma è energicamente autonoma: produce calore, acqua dolce, elettricità grazie a quattro generatori.

Ombrina verrebbe gestita direttamente dalla tecnologia, non avrebbe personale a bordo, e il processo di separazione gas-petrolio è in programma sulla nave-serbatoio (Medoil sostiene che la fiammella può essere accesa 8 ore l’anno).

«Non inquiniamo», tiene a precisare Sten Stromberg, ingegnere e direttore Edison delle operazioni in Sicilia , «tutti i rifiuti vengono raccolti con la differenziata al 60 per cento e smaltiti a terra, le acque di scarico sono depurate e gli scarti di lavorazione vengono trattenuti e fatti decantare a bordo per essere quindi trasferiti».

E gli incidenti? Dal 1987 in piattaforma, Maurizio Di Mauro ricorda solo un caso: «Fu dimenticata aperta una manichetta in fase di trasferimento e il greggio si riversò in acqua». «La tecnologia ci dice che oggi i guasti possono avvenire quasi esclusivamente a causa di un errore umano», aggiunge l’ingegnere, «ma questo vale per tutto, anche quando andiamo in aereo e in auto. Tenendo conto che da qui ci accorgeremmo subito che qualcosa non va perché la pressione nei tubi è costantemente monitorata e la produzione verrebbe interrotta».

Su Vega c’è anche un altro motivo d’orgoglio. Nello specchio d’acqua sotto la piattaforma vengono avvistati ricciole, tartarughe marine, branchi di tonni, delfini: «Siamo diventati una specie di riserva naturale, sui pali sono attaccati organismi di cui si cibano pesci. E più volte è capitato di chiamare la Capitaneria perché abbiamo trovato sub a pesca sotto l’impianto».

Edison ha di recente rinnovato l’omologazione di Vega per altri 20 anni. Ma il giacimento è talmente ricco che è stata chiesta l’installazione di un’altra piattaforma (Vega B) sollevando polemiche come per Ombrina. «Gli ambientalisti una volta arrivarono con la barca di Greenpeace», raccontano, «avevano il motore acceso perché non c’era vento, e noi gli chiedemmo dove avevano preso il gasolio che li aveva spinti fin qui».

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