TERRE-MOSTRO

Racconto in gara per la quinta edizione del concorso letterario “Montesilvano scrive”. Clicca sui tasti di condivisione per votarlo

IL CONTEST Tutti i racconti in gara
IL REGOLAMENTO Partecipa anche tu

La storia che ho deciso di raccontare non è esattamente il solito racconto, in realtà un vero inizio neanche ce l'ha, o meglio forse ne ha più di uno. Per chi non ne ha fatto parte, per chi ha soltanto potuto osservarla dallo schermo di un televisore o ne ha semplicemente sentito parlare,incomincia ufficialmente una notte di Aprile di quattro anni fa, verso le tre e mezza. Ma per chi vi è rimasto incastrato dentro, imprigionato, per chi se l'è sentita sulla pelle, come mille graffi uno sopra l'altro, bè per loro questa storia paradossalmente è incominciata nel momento esatto in cui tutto è cessato.

Io sono uno di quelli, uno di loro, e come loro ho atteso quei venti secondi interminabili che correvano sempre più veloci, e una volta passati uscendo di casa ho dovuto fare i conti con la realtà che mi stava intorno, con quello c'era e soprattutto con quello che non c'era più. Credevo fosse finito, invece era solo l'inizio, una frase scontata ma con un fondo di verità troppo profondo. Tra quei muri di cartone molti credevano di doverci morire, quello che da sempre li aveva protetti li stava per uccidere. Per molti anzi, per troppi è stato così, ma per tutti gli altri quei pochi attimi che hanno calpestato e umiliato si sono fermati, e da lì in poi sarebbe cominciato il difficile. Una città intera ha posato a terra le lacrime e i ricordi che non avevano più spazio, e ha preso in mano quello che non le era stato tolto, quello di cui c'era bisogno, la dignità. Ed io, bè io come la mia gente c'ero terribilmente dentro, a distanza di anni ricordo ogni cosa, si vedeva ben poco ma si sentiva benissimo, quasi come fosse un uomo invisibile che si presenta da te quando vuole, distrugge e se né va, lasciandoti solo a ripulire i cocci.

Gli specchi e i vetri sbattevano a tempo, era un concerto, ti dava l'idea che non potessi fare nulla, che sarebbe finito da solo. Mi ha sempre impressionato pensare che persone come me fossero morte senza poter lottare, per loro e per chi amavano, che su quei cuscini ci avessero lasciato almeno tutto, e che sarei potuto essere uno di loro, uno di quelli da ricordare. Un nome in più in quell'appello infinito che ogni anno sembra essere più lungo, un nome inciso da qualche parte, su una di quelle targhe impolverate che ti dedicano quasi come fossi un eroe. Ho immaginato mille volte a cosa avessero pensato quelle anime un attimo prima della fine, e mi piace credere che stessero combattendo con tutta la forza che avevano e anche con quella che non possedevano, mi piace pensare che quando devi difendere il tuo mondo, allora diventi invincibile. Del mio di mondo, non ho mai pensato potesse finire, neanche per un istante, e ringrazio me stesso perché non ho conosciuto quell'angoscia inaffrontabile di chi ha paura di perdere ogni cosa senza poter far nulla. Ho avuto una fortuna che altri non hanno nemmeno sfiorato. E' un ricordo indelebile, incancellabile, che ti scava dentro fino a toccarti le ossa, che mi accompagnerà fino alla fine e che avrò sempre la forza di raccontare. Forse le macerie nei nostri cuori e nelle nostre teste saranno ancora più difficili da rimettere in piedi, ma la vita andrà avanti e se non potremo tornare quelli di un tempo allora saremo altri, in altri posti, forse anche migliori, ma sempre noi.

Questa è la mia storia, la storia di sessantamila persone, niente inizi e niente fini, fa parte di noi, è ciò che ci resta, quello che ci ha spinti giù e che adesso ci fa andare avanti.

Racconto dedicato al terremoto che ha colpito la città dell'aquila e relative province la notte del 6 aprile 2009, provocando la morte di 308 abitanti.

©RIPRODUZIONE RISERVATA