la storia

Tocco da Casauria, povero per colpa della giustizia lumaca

Parla Carlo Lupone, l'uomo che si è tagliato i polsi in tribunale: «Investito da un’auto pirata tre anni fa: ho perso il lavoro, vivo tra dolori atroci e devo essere risarcito»

TOCCO DA CASAURIA. La disperazione di Carlo Lupone, 61 anni, ora è visibile in quel braccio sinistro fasciato, pudicamente nascosto nella foto a fianco. Fino a poco tempo fa, l’uomo che due giorni fa si è tagliato le vene in tribunale a Pescara, girava per Tocco con le stampelle. Giovedì scorso, quando il giudice di pace ha rinviato a marzo 2017 la causa che lo riguarda, non ci ha visto più: ha estratto un taglierino e si è ferito in aula prima di essere disarmato dai carabinieri. La sua odissea giudiziaria dura da oltre tre anni, dopo essere stato investito a Scafa da un automobilista che non si è fermato. Lupone ha riportato danni permanenti, ha perso il lavoro ed è diventato povero. Il presunto responsabile dell’investimento, individuato dopo 2 anni, sostiene di essere innocente. Così, la causa va a rilento e la richiesta di risarcimento danni al Fondo di garanzia delle vittime della strada (Consap) non può essere avanzata in assenza di sentenza. «Quell'incidente mi ha trasformato la vita», racconta sconfortato Lupone, «Me l'ha rovinata e ha gettato me e la mia famiglia in una situazione di quasi indigenza».

Che cosa è successo?

«Lavoravo come gruista specialista in aziende dislocate in Europa, Germania Francia ed anche in Messico. Dopo l'accaduto, che mi ha procurato notevoli danni fisici, le imprese non mi hanno voluto più riassumere. Sono rimasto senza lavoro e alla mia età senza altri sbocchi lavorativi. Abbiamo intrapreso la via giudiziaria per essere risarciti. Credevo che con tempi ragionevoli, mesi o al massimo un anno, le cose si sarebbero risolte ed avrei potuto essere remunerato per quanto avevo subito».

E invece?

«Invece niente. Da allora, è iniziata un’odissea ancora peggiore. Non so se attribuirla alla lentezza della giustizia italiana o alla farraginosità delle procedure, fatto sta che per un motivo o per un altro- che tra l'altro neanche riesco bene a capire e deve spiegarmelo molte volte il mio avvocato - non si riesce a concludere e a intravvedere una possibile soluzione. Vivere in questa condizione di indeterminazione e per di più senza soldi, senza lavoro, e con dolori atroci che non mi fanno più dormire, lesioni che hanno cambiato la mia vita e che col tempo possono solo peggiorarla, mi ha portato alla esasperazione. Il gesto del taglierino è stato il mio modo per denunciare tutto questo, a mie spese però. Non volevo coinvolgere nessuno, anche perché ciò che ho fatto spero sia emblematico per i tanti casi come e peggio del mio, fermi tra le pieghe dei procedimenti giudiziari».

Crede che ci possa essere un via d'uscita?

«Il mio avvocato vuole avanzare una proposta abbastanza velleitaria: quella di un accordo fra Consap e compagnia assicurativa del presunto investitore per contribuire in parti uguali a risarcirmi prima che il processo termini. E poi l'una rinfrancare l'altra a seconda del verdetto che verrà fuori. E' l'unica via da seguire per accorciare i tempi della giustizia, ma sicuramente ci si imbatterà nel muro di gomma delle compagnie assicurative».

Intanto?

«Intanto io soffro, fisicamente e nello spirito, rovinato non solo da un incidente che può comunque accadere e che non dipende dalla nostra volontà, ma dalla lentezza del sistema burocratico, giudiziario, assicurativo che di garanzie, almeno nel mio caso, ne ha fornite ben poche. Chedo a chi può di aiutarmi a districare questa matassa, anche se non potrà mai ridarmi la salute fisica e compensare quella morale dall'oscurità di questi tre anni».

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