UN RACCONTO DI GUERRA

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Dicembre 1943.

E’ una rigida mattina d’inverno, due donne camminano alla volta di Chieti, dichiarata città aperta.

La ragazza ha in testa una cesta e in braccio una bimba di un anno, che piange.

La vecchia le segue a poca distanza. Una cesta sul capo e una bimba per mano, mia madre.

La bambina ha tre anni, magra come tutti i bambini in tempo di guerra e buffa nella divisa tedesca che un soldato le ha donato: una giacchetta con gli alamari che le sta come un cappotto e le arriva ai piedi.

Comincia a nevicare.

La vecchia procede in silenzio e osserva le campagne intorno, quelle colline così amate, i vigneti abbandonati, gli ulivi, i cachi privi di foglie. Ecco, quei frutti arancione le sembrano tanti piccoli soli e le viene un sorriso.

“Annì, fatti forza. Arriveremo a Chieti, ritroveremo tuo padre e tua madre, Oscar e zia Teresina”

Il selciato ormai è completamente imbiancato e la piccola comitiva avanza tra i fischi delle cannonate.

La bimba in braccio alla ragazza ha smesso di piangere, il viso paffuto paonazzo, gli occhioni sgranati.

“Dalle un pezzo di pane prima che ricominci a piangere”, suggerisce la vecchia alla ragazza senza smettere di camminare, ma Annina scuote il capo.

“Non ce n’è più, mammà, non ce n’è”

La bimba col cappotto tedesco infila la mano gelata nella tasca, tira fuori un pezzetto di pane nero, lasciato lì dal soldato, e lo porge alla madre.

La ragazza si ferma. Guarda la figlia che ha smesso di piangere e ora dorme, guarda la vecchia, guarda la figlia nel cappotto che le tende il pezzo di pane.

“Mangialo tu, Maria”.

In quell’istante una camionetta di tedeschi le supera in curva e uno di loro spara in aria per spaventarle.

Le risate sguaiate dei soldati risuonano nell’atmosfera ovattata. La ragazza è sfinita e piange e maledice la guerra e i tedeschi. Piange e bagna di lacrime il viso paffuto della bambina che né le fucilate hanno svegliato né la raffica di mitra né i sibili dei cannoni.

“Ho vent’anni e due figlie, Signore, e un marito che non vedo da due anni, e non ricevo sue notizie”

L’ultima lettera gliel’aveva scritta prima di partire per la Russia, parlava di una licenza per vedere la bimba che sarebbe nata ad ottobre, ma non è mai più tornato, mai più.

“Una bomba, Signore, se una bomba ci centra in pieno finiremo di patire. Facci colpire, ora, e finirà il dolore, la fatica, il freddo, la fame”.

Si gira verso la suocera e la figlia.

“Oddio mamma, hai visto Maria, ha perso una scarpa, la bambina ha perso una scarpa!”

La bambina camminava nella neve con un piede scalzo, in silenzio.

A tre anni, gelata nella neve, aveva già scelto la strada del sacrificio e del dolore. Mia madre.

Un clacson forte fa balzare loro il cuore in petto.

La ragazza perde le staffe e grida. Sparate, sì, sparate, però questa volta fate per davvero, prendete la mira, sparate!

La camionetta con i soldati le sorpassa, poi di colpo fa marcia indietro.

“Stai buona Annì, la supplica la vecchia, non fare scenate, magari è brava gente”

Dal camion è sceso un ufficiale.

Le guarda senza dire una parola, per un periodo di tempo infinito scruta i loro vestiti, le ceste, le bambine.

“Dove siete dirette, signore?”

“Andiamo a Chieti” dice la vecchia, guardandolo dritto negli occhi.

“Dobbiamo ritrovare il resto della famiglia, siamo rimaste sole, mio figlio è partito per la Russia, non abbiamo sue notizie da 2 anni”

“Capisco” dice il tedesco, e si avvicina alla bimba senza scarpa.

“La dia a me, signora”.

La ragazza si scaglia contro di lui.

“Prendi me” grida, “lasciala stare”

“No signora, non prendo lei, io accompagnare Voi a Chieti”.

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