UN VESCOVO E LA FABBRICA CHE CHIUDE

Si può dare un consiglio (non richiesto) a un vescovo? Lo faccio con tutte le cautele e l’umiltà del caso, anche perché ho grande stima del presule in questione, il vescovo dei Marsi Pietro Santoro. Tutto nasce dalla dura presa di posizione che il monsignore ha assunto dopo la terribile notizia di un’altra fabbrica che chiude ad Avezzano, la Cartiera Burgo, con 350 famiglie nella disperazione.

Il vescovo ha parlato, giustamente, di «un’economia brutale», lanciando un messaggio preciso alla proprietà sul fatto che operai e impiegati non sono «uno scarto da eliminare». Ma allo stesso tempo ha sferzato i politici, ammonendo che è finito il tempo dei balletti verbali : «Svegliatevi», ha intimato un Santoro più indignato che mai.

Vengo al modestissimo consiglio: caro vescovo, non faccia troppo conto sulla politica. Certo, verrà aperto un tavolo romano e lì si tenterà di convincere gli azionisti, ovvero la famiglia Marchi, di puntare su risparmi meno traumatici per contenere l’oggettiva crisi del mercato della carta. E ci sono i politici che riescono a portare a casa qualche risultato, accanto ad altri che effettivamente dormono adagiati nei soliti, inutili rituali. Ma in questi casi è l’autorità morale di un vescovo che può essere spesa per scongiurare il peggio.

Ricordo che se la Fiat non chiuse la grande fabbrica torinese di Mirafiori, quattro anni fa, è solo per l’accorato intervento che il cardinale e arcivescovo Severino Poletto fece direttamente su Sergio Marchionne. Parli alla coscienza dei proprietari, lasciando che altri parlino al portafoglio. Quegli stessi proprietari che nell’ultimo bilancio, approvato solo due mesi fa, hanno scritto a grandi lettere che «le persone sono il punto di forza del gruppo Burgo».

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