UNA GIORNATA DI LUGLIO

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Sono un abitudinario, a volte capita quando si è anziani. Sì, proprio uno di quei pensionati modello, di quelli che si alzano presto al mattino, portano il cane a far pipì, preparano la colazione, puliscono e si siedono davanti alla tv ad aspettare le notizie dal mondo, attendendo ansiosi l'inizio della loro fiction preferita. Un caffè, qualche sigaretta, a volte un bicchierino di grappa, e la sera a letto presto, che domani si ricomincia.

Ma quella giornata di luglio, sotto il sole afoso che bruciava il cielo della mia Genova, mi presi una pausa, un momento di rottura più forzato che voluto, visto quello che succedeva a qualche decina di passi dal portone di casa mia. I visi puliti dei giornalisti in tv ci avevano messo in guardia da giorni, le autorità ci avevano spiegato che ci sarebbero potuti essere dei disagi alla circolazione, al traffico, al regolare scorrimento delle mie giornate di piatta serenità. Beh ecco, diciamo che già dalle prime luci dell'alba mi accorsi che non ci sarebbe stato solo disagio, qualche ritardo veniale nel passaggio dei mezzi di trasporto, un paio di strade temporaneamente bloccate. C'era dell'altro, c'era puzza d'odio già nell'indefinito pulviscolo mattutino. Me ne accorsi, sapete. Sono vecchio ma non sono scemo. Container colorati trasportati dai cargo ormeggiati nel porto, troneggiavano all'ingresso delle strade del centro ostruendo il cammino. Uomini in divisa scura, con gli occhi coperti da caschi e visiere, scrutavano il mio passaggio lungo il marciapiede. La Lanterna, da lontano, vegliava con occhio triste sul respiro strozzato di sua madre in gabbia. La brezza fresca schiantava l'urlo leggero contro i vetri delle camionette, sparse qua e là in attesa dell'ordine. Fred, il mio pastore tedesco, annusava il marciapiede con aria preoccupata, girandosi di tanto in tanto con il muso verso di me, per spiegarmi silenzioso il suo timore d'animale.

Mi dissero che a casa non potevo tornare, la mia era una zona rossa, era pericoloso. Dovevo dire addio alle mie verdure ed al mio caffè pomeridiano, mentre il caldo rendeva gli spiriti sempre più ardenti.

Il litorale era diventato un inferno nel giro di poche ore. Visi freschi di gioventù grondavano sangue e sudore, cercando di sfuggire alle cariche degli sceriffi della legge. C'era chi barcollava privo di meta, gli occhi sbarrati e la paura nel cuore. Altri si rannicchiavano a terra per salvarsi dai colpi di legno che gli sminuzzavano le ossa del corpo, qualcuno si buttava in mare, per pulire le pupille gonfie di gas lacrimogeno.

I tuoni di rabbia del potere assordivano i timpani, cercando un posto dove la ferocia lasciasse spazio alla serenità. Vidi due ragazzi, giovani e forse belli, di sicuro sporchi di polvere e sudore, amarsi stretti sul manto nero della strada, i corpi attaccati fino a poter sentire l'uno il suono dell'altro, mentre qualcuno picchiava un bastone sulle loro schiene. Urlavano pietà senza essere ricambiati, ma non si staccavano, i loro cuori erano incollati. Fred annusava nauseato il puzzo di sangue e piscio sui marciapiedi, stordito dal canto ingannevole delle sirene. Poi chissà, forse per rabbia o giustizia animale, decise di uniformarsi alle regole dell'odio cui lo avevo educato a sfuggire. Corse verso i ragazzi, e verso l'uomo dal volto nascosto. Un morso alla gamba fu sufficiente per guadagnarsi l'eterno riposo, trafitto in testa da una pallottola di metallo. Poi una camionetta calpestò il suo corpo un paio di volte, lì, davanti il mio sguardo, mentre urlava sofferente il suo dolce desiderio di pace.

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