Verde e appalti a Pescara, 14 a processo

L’ex assessore D’Amico rinviato a giudizio, 7 prosciolti

PESCARA. Quattordici imputati alla sbarra per l’inchiesta Green connection: a quattro anni dagli arresti, il gup Carla De Matteis ha rinviato a giudizio l’ex assessore comunale Rudy D’Amico e, con lui, una pattuglia di ex dirigenti comunali e di imprenditori, tutti coinvolti nell’affare della gestione del verde a Pescara.

Con una decisione arrivata al termine di una mattinata in cui, nell’aula cinque del tribunale, una ressa di fotografi e giornalisti seguiva la prima udienza per lo scandalo della Sanità, il giudice ha accolto integralmente le richieste del sostituto procuratore Gennaro Varone, che nel marzo scorso aveva chiesto il processo per i quattordici ieri rinviati a giudizio e chiesto il proscioglimento per altri sette imputati.

Con la sentenza del gup, dunque, escono dal processo Massimiliano Andrenacci, Roberto Scipione, Sergio Di Pietrantonio, Lorenzo Tini, Antonio Roberto Di Matteo, Floriana D’Intino e Domenico Ballone, tutti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato (in un solo caso, per Andrenacci, perché uno dei reati si è prescritto).

Compariranno invece davanti al tribunale collegiale, nell’udienza fissata per il prossimo 20 ottobre, l’ex assessore dell’Italia dei Valori Rudy D’Amico, gli ex dirigenti comunali Pierpaolo Pescara e Giampiero Leombroni, l’ex funzionario comunale, Costantino Rapattoni e l’ex assessore provinciale Tiziano La Rovere, nella qualità di responsabile della coop «La cometa», assieme agli altri responsabili delle cooperative sociali coinvolte nell’inchiesta: Franco D’Alonzo, presidente della «Edilpennese», Nicola Palmieri, della coop «Il solco», e Mario Di Giovanni, presidente di «Progetto lavoro»: sono accusati, tra l’altro, di associazione per delinquere «allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione» dall’abuso d’ufficio alla turbativa d’asta.

Secondo le accuse mosse dalla procura, si sarebbero accordati tra loro, siglando «un vero e proprio patto di spartizione - predeterminata “a tavolino” - di lavori e servizi pubblici» appaltati dal Comune per la manutenzione del verde, con l’accordo di «ottenere quanti più appalti possibili» da dividersi tra le cooperative. Gli utili sarebbero stati ripartiti tra tutti gli aderenti al patto.

Per raggiungere il loro obiettivo, i presunti componenti dell’associazione avrebbero evitato le procedure di evidenza pubblica, assegnando i lavori attraverso la trattativa privata, gli affidamenti in economia e le convenzioni con le cooperative sociali di tipo B. Il metodo: il frazionamento «illegittimo» in lotti degli importi degli appalti, ma anche «la presentazione di percentuali di ribasso concordate nei casi di partecipazione a gare con offerte in busta chiusa».

Escono invece dalla cornice della presunta associazione (come aveva chiesto il pm) altri due ex dirigenti comunali, Vincenzo Cirone e Pierluigi Carugno, che andranno tuttavia alla sbarra per abuso.

Per la procura, il presunto «cartello» si sarebbe servito inoltre di personaggi in grado di imporre con la violenza la legge dell’associazione, attraverso spedizioni punitive, con auto bruciate agli avversari. Per quegli episodi, compariranno davanti al tribunale collegiale Francesco De Simone, Damiano Madeo, Rocco Celsi, accusati di incendio e violenza privata, e Natascia Di Clemente, accusata di favoreggiamento perché, secondo l’accusa, avrebbe aiutato i responsabili a eludere le indagini.

Nella sua lunga e articolata sentenza, il giudice De Matteis ha inoltre disposto il non luogo a procedere per D’Amico, D’Alonzo, La Rovere, Di Giovanni, Palmieri, Leombroni, Rapattoni, Cirone e Carugno per una serie di ipotesi di reato, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste.

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