L’AMARCORD»L’EX PRESIDENTE DELL’AVEZZANO SI RACCONTA

AVEZZANO. Se si incontra Mauro Gentile per le strade di Avezzano non si può non parlare dei tempi lucenti del pallone biancoverde. Con lo storico presidente sali sulla macchina del tempo e dei...

AVEZZANO. Se si incontra Mauro Gentile per le strade di Avezzano non si può non parlare dei tempi lucenti del pallone biancoverde. Con lo storico presidente sali sulla macchina del tempo e dei ricordi. Che ad Avezzano stanno a significare quasi un decennio di successi nel calcio professionistico, coronati da una storica promozione nell’allora serie C1.

Gentile, come nacque l’idea del calcio ad Avezzano?

«Entrai in società come sponsor dell'Iperorveal, il primo centro commerciale dell’Abruzzo gestito dalla mia famiglia. Era il 1988 e alla presidenza c’erano Marcello Bove e Bruno Angelosante. Giocavamo in Interregionale e arrivammo quinti con Checchino Andreetti allenatore».

Subito vincente...

«Proprio così. L’anno successivo divenni presidente: prendemmo Pino Petrelli come allenatore e Nello De Nicola nel ruolo di direttore sportivo. L’obiettivo fu subito chiaro: vincere il campionato. E fu una cavalcata trionfale. Dissi che dovevamo arrivare con 10 punti davanti all'Aquila. La staccammo di 13».

Ma il debutto in C2 non fu semplice.

«Parecchi soci andarono via e rimasi da solo. Mi diedero una mano Mario Spallone (ex sindaco di Avezzano, ndr) e il figlio Alfredo».

Per lei anche un record.

«Avevo 24 anni. Ero il più giovane presidente d’Italia di una squadra di calcio professionistica. E fui eletto consigliere di Lega di serie C fra centodieci presidenti».

Tanta ambizione. Vero?

«Non mi è mai mancata. Ma a quel tempo c'era molta incoscienza giovanile».

Un ricordo particolare?

«Sicuramente la vittoria del campionato di C2. A cinque giornate dalla fine il Frosinone aveva 5 punti di vantaggio. Nessuno credeva nella grande rimonta. Io sì. Così arrivò quella storica promozione».

E il periodo più difficile?

«Il primo anno di C2: pagammo l'inesperienza e ci salvammo pur allestendo una squadra importante».

Il giocatore più forte?

«Non uno ma tanti. Passarano da qui ex di serie A, Agostini, Brini, Caffarelli. Poi i marsicani Pierleoni, Di Nicola e Cerone. Altri arrivarono a toccare palcoscenici importanti, come Pancaro e Manfredini».

Ci racconta un aneddoto?

«Partita di Interregionale all’Aquila. Andai al Fattori con 39° di febbre e quando entrarono gli oltre mille tifosi arrivati da Avezzano passò ogni malanno. Ancora ho i brividi».

Investì molto nel calcio?

«Non parliamo di soldi. Diciamo che siamo stati bravi».

Poi l’addio.

«Ero stanco. Vincenzo Angeloni mi aveva cercato già l'anno prima. Si rifece avanti. All’epoca era onorevole e mi disse che c'erano persone importanti alle sue spalle. Mi fidai».

Però ad Avezzano si sussurra che la sua uscita sia legata a un rapporto contrastato con i tifosi.

«C’era una frangia di tifosi che sapeva solo criticare, arrivando anche a offese personali. Mamma fu insultata la sua prima volta allo stadio. È stata la cosa che più mi ha ferito. Ma non solo».

A che si riferisce?

«All'indifferenza di una parte imprenditoriale avezzanese. Ne racconto una. Organizzammo una cena. Avevamo 125 conferme al Motel Salviano e si presentarono in 8. Raccogliemmo 2 milioni di lire di contributo e ne pagammo 14 di cena».

E se la invitassero a tornare?

«Un paio di anni fa fui tentato da un gruppo di amici. Si doveva fare la squadra della Marsica. Progetto che naufragò. Troppo campanilismo stupido».

Chi le è stato più vicino?

«Aureliano Giffi il direttore generale, Mario Spallone che mi diede un sostegno anche economico e Luciano Moggi a livello professionale».

Parlare di Moggi non è scomodo?

«Di lui ho grande stima. La sua vicenda è stata strumentalizzata. Non parlerei di un sistema Moggi ma del sistema in generale del calcio di allora, dove tutti sapevano e tutti facevano finta di nulla. Qualche anomalia si percepiva».

Segue il calcio?

«Pochissimo, solo la serie A. Diciamo che mi hanno fatto stancare».

E se ci fosse un’offerta imperdibile per tornare?

«La rifiuterei. Il mio ciclo è finito. Credo di avere dato molto alla città di Avezzano».

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