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Mister D’Aversa allo specchio: io, la fede e la politica

Intervista al tecnico dei rossoneri: sono figlio di emigranti, sogno un calcio più umano

LANCIANO. Non solo Virtus Lanciano, non solo calcio. Ecco un Roberto D’Aversa diverso da quello che appare davanti alle telecamere, pronto a spaziare dalla fede alla politica, passando ovviamente per il mondo del pallone e per la famiglia. Uomo, maruto e padre prim’ancora che allenatore. Un ritratto del 39enne pescarese che va oltre il lavoro quotidiano e la partita settimanale. Il tutto in venti domande a cui Roberto D’Aversa ha risposto tratteggiando anche risvolti inediti, sia della vita privata che del carattere.

D’Aversa, quanto tempo dedica ogni giorno al calcio?
«Tanto, quasi tutta la giornata. Già appena sveglio mi aggiorno sulle notizie, poi mi sento con lo staff, con il secondo allenatore (Andrea Tarozzi, ndr) per programmare la giornata, discutere di scelte e diallenamenti. Poi si va in campo. La sera, ritiri permettendo, torno a casa».

Come passa il suo tempo libero lontano dal pallone?
«Ne ho poco di tempo libero, ma lo passo con la famiglia, mia moglie Claudia e i miei due bambini di 6 e 4 anni».

Quando ha capito che avrebbe fatto o potuto fare l’allenatore?
«Quando verso fine carriera ci si comincia a porre degli obiettivi diversi. Già dopo il fallimento del Messina (D’Aversa ha giocato nel Messina nel 2007- 2008, e nel 2008 la società è fallita ndr) avevo seguito il corso e preso il patentino come allenatore di terza categoria. Poi, per seguire quello di seconda e di prima devi smettere di giocare, quindi appena appeso le scarpette al chiodo ho seguito il corso a Coverciano per il patentino di Seconda. Ora sto seguendo il corso Uefa Pro che permette di conseguire il patentino per allenare in serie A e B».

Per quale squadra fa il tifo o simpatizzava da bambino?
«Da piccolo mi piaceva l’Inter. Poi, appena arrivato alle giovanili del Milan a 14 anni, ho cambiato rotta. Era il Milan di Sacchi e degli olandesi. Il mio idolo era Van Basten, anche perchè giocavo da punta all’inizio».

Se non avesse fatto il calciatore quale altra strada avrebbe preso?
«Non lo so. So solo che qualsiasi altra strada non mi avrebbe reso felice come il calcio. Giocavo fin da piccolo in strada, poi a 11 anni all’antistadio e a 14 al Milan. Non ho avuto tempo di pensare ad altre strade. Mi sono impegnato al massimo in questa strada, a realizzare questo sogno».

Lei risulta nato a Stoccarda, ma è pescarese a tutti gli effetti, come mai?
«I miei genitori erano emigrati in Germania per lavoro. Poi, quando avevo tre anni, siamo tornati a Pescara. Mamma e papà hanno fatto una vita di sacrifici per dare il meglio a me, mia sorella e mio fratello. Non li ringrazierò mai abbastanza per quanto fatto. Gli sarò grato per tutta la vita».

Nel mondo del calcio a chi si sente di dover dire grazie?
«In primis a Cetteo Di Mascio (ex allenatore della Renato Curi e oggi responsabile del vivaio dell’Ascoli, ndr). Lui per me è stato un secondo padre, una persona che mi ha insegnato ad essere uomo, prima che giocatore. Poi, grazie a tutti quelli che hanno contribuito a formare il mio carattere, la mia persona, nel bene e nel male tutti hanno dato qualcosa e mi hanno fatto crescere».

Che cosa le dà più fastidio del suo mondo e che cosa le piace di più?
«Mi danno fastidio l’ipocrisia e gli interessi economici eccessivi che ci sono nel calcio e che rovinano questo bel mondo. Lo sport dovrebbe rimanere, appunto, sport. Quello che mi piace di più è il campo, lo spogliatoio».

Qual è la città in cui si è trovato meglio nel suo girovagare da calciatore?
«Siena. Per la città, i tifosi ma soprattutto perché a Siena ho vissuto l’esperienza calcistica più importate, la serie A».

Lei come cambierebbe il calcio? Quale sarebbe il primo provvedimento da prendere?
«Cambiare il calcio... Beh, sarebbe un discorso molto lungo. Posso dire che mi piacerebbe che si prendessero dei provvedimenti per riportare le famiglie allo stadio. Vedere i bambini allo stadio è la cosa più bella. Di conseguenza ci dovrebbero essere provvedimenti seri contro la violenza negli stadi».

Moviola sì o moviola no?
«Moviola limitata, in modo da aiutare gli arbitri. Non mi piace la moviola a fine gara che aiuta solo a sollevare polemiche. Diciamo che il progetto presentato proprio dalla Virtus, degli assistenti di tribuna sia il più valdio (presenza di due ex arbitri in tribuna che, seguendo la partita attraverso un sistema di monitor capace di fornire tutte le angolazioni di ripresa, sono in grado, in 20 secondi, di informare l’arbitro su episodi dubbi, ndr)».

Come le è cambiata la vita passando da calciatore al ruolo di allenatore nel giro di poco tempo?
«E’ cambiata perché da allenatore si vive il calcio in modo diverso. Hai maggiori responsabilità, devi dare conto alla società di molte più cose, devi stare attento a qualsiasi cosa si dica o si faccia».

Quando sente parlare di calcioscommesse, che cosa le viene in mente?
«Un lato brutto dello sport, non solo del calcio visto che ora si parla anche di scommesse nel tennis e nel ciclismo. Ci sono troppi interessi in ballo. Mi viene anche in mente che spesso in questo ambito si danno giudizi affrettati sulle persone senza accertarsi prima dei fatti».

Le interessa la politica? A chi si sente più vicino a livello di idee?
«Diciamo che Renzi non mi dispiace».

Qual è il suo sogno nel cassetto da allenatore?
«Di creare qualcosa di importante a Lanciano. Per quanto tempo non lo so, so che voglio crescere e voglio far crescere questa realtà, questa società che mi ha dato la possibilità di allenare».

Si reputa un istintivo o un razionale in panchina?
«Ora razionale. Prima, da giocatore, ero istintivo; la panchina mi ha reso più razionale anche perché se detto le regole devo essere il primo a rispettarle».

Che rapporto ha con la fede? E’ un cattolico praticante?
«Sono cattolico, ma non molto praticante. Non credo che si debba andare per forza in Chiesa per dimostrare la fede. Il mio è un rapporto quotidiano con Dio».

Lei e Antonio Conte, il ct della Nazionale. Come è nato e come si sono sviluppati l’amicizia e il feeling?
«L’amicizia è nata a Siena nel 2005, quando Antonio (Conte) era il vice di Gigi De Canio e io giocavo. Poi, l’amicizia si è estesa alle nostre mogli ed è continuata negli anni. Non ci sentiamo tutti i giorni, ma passiamo spesso le vacanze assieme. Anche questa estate siamo stati in Madagascar con le nostre famiglie».

In casa lei è un pantofolaio oppure aiuta sua moglie a sbrigare le faccende?
«Cerco di dare una mano a mia moglie quando posso. Certo non sono un marito esemplare nelle pulizie, ma collaboro. Magari pagando le bollette o aiutandola con i bambini».

Infine il Lanciano: se la squadra di quest’anno segna più gol di quella della passata stagione è per merito suo?
«No. E’ per merito dei ragazzi. Io cerco di aiutarli sul campo, ma sono loro che, allenamento dopo allenamento, crescono».