QUEI TRE MATCH CHE RISVEGLIARONO IL NOSTRO ORGOGLIO

C’era una volta la boxe che costringeva gli italiani alle notti bianche davanti a una radiolina a transistor oppure a un televisore e li spaccava a metà, come il ciclismo o il calcio, fra i...

C’era una volta la boxe che costringeva gli italiani alle notti bianche davanti a una radiolina a transistor oppure a un televisore e li spaccava a metà, come il ciclismo o il calcio, fra i sostenitori di un campione o di un altro.
Erano gli anni Sessanta e Settanta, quelli dominati da Nino Benvenuti che, oggi, di anni ne compie 80. Era la boxe che chiamavamo ancora pugilato, uno sport per il quale era facile appassionarsi e dividersi perché non ancora spezzettato fra sigle e campionati mondiali più numerosi delle ferite sulla faccia di Jake La Motta dopo i sei match con Sugar Ray Robinson. Benvenuti è stato uno degli eroi di quello sport. Veloce e mobile sul ring come un Cassius Clay bianco, bello di faccia e capace di duellare con le parole quanto con i guantoni, la sua carriera iniziò all’insegna di un dualismo con un altro pugile, Sandro Mazzinghi, un toscano loquacissimo, polemico e grande picchiatore. Lo scontro fra i due si concluse con un “uno-due”, un paio di match per il titolo mondiale dei superwelter, nel 1965, vinti da Benvenuti. Due incontri, uno in meno dei tre che edificarono il mito del pugile triestino, quelli combattuti fra il 1967 e il 1968 a New York, contro Emile Griffith, un fortissimo combattente nero americano, al quale Benvenuti tolse il titolo mondiale dei pesi medi. Il primo di quei tre incontri porta una data che gli italiani che hanno superato la sessantina ricordano come quella del primo bacio: 17 aprile 1967. Quel match, nel vecchio Madison Square Garden, fu immaginato più che visto. A raccontarlo, infatti, alle 3 di notte, fu una diretta radiofonica che tenne sveglia mezza Italia. L’incontro – vinto ai punti da Benvenuti – fu tramandato di bocca in bocca, come una favola del folklore. Dalla fine della guerra erano trascorsi appena 22 anni.
Quell’incontro fu la prima volta che l’Italia provò di nuovo ad assaporare il frutto dolce dell’orgoglio nazionale. E, che a restituirci il sapore di essere italiani rispettati nel mondo fosse un ragazzo di Trieste abile a dare pugni e a non prenderli non ci interessava. Del resto, di cazzotti in faccia, noi italiani, ne avevamo già presi tanti. Per una volta, ad alzare il braccio del vincitore era uno di noi. E questo ci bastava.
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