Appalti: assolti gli undici imprenditori

Il pm aveva chiesto condanne totali per 28 anni, i giudici: il fatto non sussiste

TERAMO. Erano finiti a processo per associazione a delinquere e turbativa d'asta e per loro il pm aveva chiesto condanne a 28 anni. Ma i giudici hanno demolito l'impianto accusatorio assolvendo in primo grado 11 imprenditori di Montorio e Roma che secondo la procura avevano creato una sorta di cartello per condizionare appalti pubblici. La sentenza di assoluzione per tutti gli imputati è arrivata dopo circa trenta minuti di camera di consiglio. Per i giudici del tribunale di Teramo in composizione collegiale (presidente Giovanni Spinosa, a latere Domenico Canosa e Ileana Ramundo) il fatto non sussiste.

Il pm Davide Rosati, titolare del caso, nella sua requisitoria aveva ripercorso i fatti e la complessa attività di indagine portata avanti dal 2008. Complessivamente aveva chiesto condanne per circa 28 anni. Secondo l'accusa diversi componenti di una famiglia di costruttori di Montorio al Vomano e altri imprenditori edili - per un totale di undici imputati - si sarebbero coalizzati in una sorta di cartello in modo da condizionare a proprio vantaggio il regolare svolgimento di appalti pubblici.

I fatti contestati, in particolare sette episodi di turbativa d'asta, si sono svolti nell'arco di tre anni, tra il 2004 e il 2007, in diversi comuni della provincia, da Montorio al Vomano a Mosciano Sant'Angelo fino a Giulianova. Nell'inchiesta del pubblico ministero Rosati avevano giocato un ruolo chiave le intercettazioni telefoniche degli indagati. Le figure apicali dell'organizzazione sarebbero state, secondo l'accusa, gli imprenditori montoriesi Giuseppe Porcinari, 72 anni, e Armando Porcinari, 44 anni. Con questi erano stati rinviati a giudizio anche Graziano, Roberta e Santa Porcinari, rispettivamente di 41, 46 e 54 anni; Andrea ed Edwige Di Cori, di 35 e 26 anni, Valentina D'Alessio, 28 anni, Concettina Di Feliciantonio, 41 anni, Gianluca Di Luciano, 32 anni, e Francesco Dionisi, 32 anni.

L'ACCUSA. Secondo l'accusa ipotizzata dalla procura al termine gli undici, nei loro diversi ruoli, avrebbero promosso un'associazione a delinquere finalizzata a stravolgere il regolare svolgimento delle gare d'appalto di opere pubbliche al fine di aggiudicarsene i lavori sia in via diretta sia mediante subappalti. Uno dei cardini su cui poggiava l'impianto accusatorio era l'ipotesi che gli undici avessero creato una sorta di cartello nell'indicazione delle offerte attraverso alcuni espedienti consititi nel far partecipare alle gare d'appalto imprese compiacenti, sebbene carenti di presupposti richiesti dal bando, che in caso di mancata aggiudicazione della gara da parte delle società organiche al gruppo, avrebbero palesato la loro situazione alla stazione appaltante al fine di far bandire una nuova gara di appalto.

I SUBAPPALTI. Inoltre, sempre secondo l'accusa sostenuta dalla procura ma ritenuta insussitente dai giudici di primo grado, la successiva e totale esecuzione dei lavori veniva di fatto realizzata non dalla ditta vincitrice, ma dalla società del gruppo operanti sul territorio dove si trovavano le opere appaltate. Questo, sempre secondo l'accusa, contravvenendo al limite massimo subappaltabile del 30%. Gli avvocati degli imputati (gli imprenditori di Montorio erano difesi dall'avvocato Lino Nisii) nelle varie arringhe hanno sostenuto l'insussistenza delle ipotesi di reato contestate dalla pubblica accusa e hanno chiesto l'assoluzione per i loro assistiti.

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