Terremoto

Autonoma sistemazione, aperta la prima inchiesta teramana 

Via alle indagini della Procura dopo la presentazione di un esposto, l’ipotesi è quella di truffa. Sono 1.023 le famiglie che usufruiscono del contributo che può arrivare fino a 900 euro mensili

TERAMO. La chiave di volta investigativa è un metodo ormai collaudato dal sisma dell’Aquila: l’incrocio dei dati. Perchè la storia si ripete e la violazione sistematica delle regole resta il filo conduttore dei post terremoti raccontati dalle cronache giudiziarie. Come se il passato non insegnasse mai nulla.
Così nei giorni dedicati ad anniversari sempre più disperati con ricostruzioni che stentano a decollare, c’è una nuova inchiesta della Procura teramana a segnare il post sisma teramano. E’ la prima aperta su una presunta truffa per dei contributi di autonoma sistemazione. Ovvero soldi che sarebbero stati percepiti indebitamente da chi avrebbe fatto false attestazioni. Le indagini sono scattate dopo un esposto e, inutile sottolinearlo, sono avvolte nel massimo riserbo. A coordinarle il pool di magistrati che il procuratore Antonio Guerriero ha messo a capo di tutto quello che riguarda il terremoto (ne fanno parte i pm Davide Rosati, Luca Sciarretta, Andrea De Feis, Stefano Giovagnoni). Un caso che potrebbe non essere isolato visto che da un anno a questo parte gli sgomberi nel capoluogo hanno prodotto una schiera di 5040 sfollati tra cui 1023 famiglie che usufruiscono del contributo di autonoma sistemazione per un importo mensile complessivo di 712mila euro. Il contributo di autonoma sistemazione, il Cas, è una misura destinata alle famiglie e al singolo cittadino la cui abitazione si trova in area in cui è vietato l’accesso (zona rossa), oppure è stata distrutta in tutto o in parte, o è stata sgomberata in seguito alle scosse. Il contributo può raggiungere un massimo di 900 euro mensili. Per ora nell’indagine avviata dalla procura non ci sono indagati.
Intanto nelle prossime settimane dovrebbero essere depositate le prime consulenze disposte nell’ambito dell’ inchiesta aperta sui 32 istituti scolastici, a partire dagli asili fino alle superiori. La mole di documenti acquisita nei mesi scorsi, infatti, è finita nelle mani di un pool di tecnici nominati dai magistrati. Con un obiettivo: accertare che tutte le normative siano state rispettate, a cominciare proprio dalla presenza di quel documento di valutazione dei rischi, in cui è previsto quello sismico, che deve fotografare la realtà dei vari istituti scolastici alla luce delle tante nome previste. Come quelle introdotte dopo il terremoto in Puglia e Molise del 2002, quello della tragedia della scuola di San Giuliano: dopo quei fatti è stata emanata l'ordinanza del presidente del consiglio dei ministri del 20 marzo 2003 che riclassifica l’intero territorio nazionale in quattro zone a diversa pericolosità, eliminando le zone non classificate e introduce l’obbligo per gli enti proprietari di procedere alla verifica sismica degli edifici strategici e di quelli rilevanti per finalità di protezione civile. Tra questi ultimi ci sono le scuole. La finalità dell’inchiesta è anche accertare in che modo siano stati usati i fondi post sisma stanziati per mettere a norma le scuole dopo il terremoto dell’Aquila. Perchè è proprio l’utilizzo di questi fondi a delineare il contesto in cui si muovono i pm a caccia di conferme: quei soldi arrivati da Governo e Regione nel 2014 sono stati utilizzati per l’adeguamento antisismico, così come previsto, o per finanziare altri tipi di interventi? Le ipotesi di reato contestate nel fascicolo, che per ora resta aperto contro ignoti e quindi ancora senza nessun indagato, sono quelle di omissioni d’atti d’ufficio e omissione di lavori in edifici che minacciano rovina.
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