Crac Di Pietro, l'arrestato Curti pronto a parlare al pm

Ha già fatto il nome di Tancredi ma dopo il terzo no alla libertà può tornare ad accusarlo

TERAMO. Prima i giudici che gli negano per tre volte la libertà. Poi un detenuto tunisino che gli sfregia il volto con una lametta. Guido Curti, 50 anni di Teramo, non ce la fa più a restare in cella. Sta per chiedere al pubblico ministero, Irene Scordamaglia, di voler parlare. Lo ha già fatto un mese fa per accusare il commercialista teramano Carmine Tancredi, tirato in ballo ma non indagato nell'inchiesta su crac a catema e fondi sospetti transitati per Lugano, Londra e Cipro. Ma Curti sarebbe pronto a chiamare in causa ancora una volta il socio di studio al 50% del governatore Gianni Chiodi. Lo farà nelle prossime 48 ore. Dire che Curti vuole parlare al pm è una deduzione che si basa su un dato di fatto avvenuto venerdì scorso.

In carcere dal 27 gennaio insieme con Maurizio Di Pietro, Curti ha infatti all'improvviso cambiato avvocato. Cataldo Mariano ha rimesso il suo mandato. Perché? La risposta non può che essere una, cioè che Curti chiederà oggi di essere interrogato per lanciare nuove accuse sia contro Tancredi sia verso Di Pietro. Il contrasto che in questo modo nascerà tra la sua difesa e quella dell'altro arrestato mette fuorigioco l'avvocato Mariano che non potrà più assistere entrambi gli indagati principali dell'inchiesta sui crac a catena se l'uno si scaglia contro l'altro.

Torniamo alla sostanza dell'inchiesta. Curti, il 17 febbraio scorso, interrogato in carcere dal pm, tira in ballo Tancredi accusandolo di essere l'amministratore occulto delle società De Immobiliare e Kappa Immobiliare, entrambi con sede legale nello studio legale Chiodi-Tancredi, in piazza Sant'Anna a Teramo. Ed entrambi considerate le tappe terminali dei fondi sospetti che arrivavano a Teramo da Cipro.

Fondi, dice l'accusa, distratti da fallimenti milionari, sottratti ai creditori e quindi ripuliti attraverso le due socità offshore. Ma le rivelazioni di Curti, finora, non hanno sortito l'effetto sperato dalla difesa. Anzi, l'ultimo no perentorio del gip, Marina Tommolini, alla revoca della custodia cautelare, deve aver convinto l'arrestato a rincarare la dose.

Non sappiamo cosa dirà. Né se le sue nuove dichiarazioni chiariranno il mistero dei fondi sospetti in Svizzera che - secondo la prima delle due rogatorie bancarie internazionali - superano il milione di euro. Sta di fatto che, per ora, il giudice dice no alla sua liberà perché non gli crede al cento per cento. Nell'ordinanza di una settimana fa (che Curti e Di Pietro hanno già impugnato in appello) il gip spiega che i due devono restare in cella perché, pur accusando Tancredi, non c'è alcun riscontro che i soldi svizzeri siano del socio di Chiodi. Mentre i quattro fallimenti, a catena e milionari, delle società da loro amministrate sono per il gip un fatto oggettivo.

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