Crac Di Pietro, la Procura chiude l'inchiesta

Bancarotta da 15 milioni, i due imprenditori arrestati verso il processo con rito immediato. Il pm: è l'unica risposta a chi minaccia di incatenarsi

TERAMO. «L'avvocato Marconi dice che si incatena? L'unica risposta della Procura è la chiusura dell'inchiesta». Non poteva non lasciare un segno la dichiarazione rilasciata mercoledì al Centro dal quotatissimo penalista teramano. «Se non lo liberano sono pronto ad incatenarmi davanti al tribunale», aveva detto Marconi a proposito dell'ennesimo ricorso presentato (stavolta alla Corte d'Appello) per chiedere la scarcerazione di Guido Curti, uno dei due imprenditori teramani - l'altro è Maurizio Di Pietro - in carcere dal 27 gennaio scorso per una serie di bancarotte che hanno visto sparire, ingoiati da un vorticoso giro su conti esteri, circa 15 milioni di euro. Per la vicenda gli indagati sono sette.

I MESSAGGI. Sarà stata solo una battuta ironica, quella di Marconi, ma non era certo lanciata a caso. Vista la misura con cui di solito il legale si rapporta con la stampa, aveva tutta l'aria di un messaggio. La sua teatralità - inusitata per il personaggio - ha suscitato una certa impressione a palazzo di giustizia. Ma il pubblico ministero Irene Scordamaglia ha evitato commenti e polemiche, com'è nel suo stile, e si è limitata ad annunciare l'imminente chiusura dell'indagine. Un messaggio anche questo, probabilmente. Un voler sottolineare come, per la pubblica accusa, in questa vicenda contino solo i codici, il diritto e i fatti accertati. Del resto finora più giudici - gip, Riesame, Cassazione - hanno avallato l'impianto accusatorio, respingendo ogni ricorso presentato dai legali degli arrestati. Forte di questi pronunciamenti, la Procura è pronta a portare a processo i presunti bancarottieri il più presto possibile. Cioè con il giudizio immediato.

I TEMPI. Codice alla mano, da quando il pm Scordamaglia invierà agli indagati l'avviso di conclusione delle indagini questi avranno venti giorni di tempo per presentare memorie e documenti e per chiedere di essere interrogati. Solo poi l'accusa potrà chiedere al gip il giudizio immediato, ovvero di cominciare il processo saltando l'udienza preliminare, motivando la richiesta con l'evidenza della prova. Il pm, se la persona sottoposta a indagini si trova in stato di custodia cautelare (e questo è il caso di Curti e Di Pietro), deve chiedere l'immediato entro 180 giorni dall'esecuzione della misura. Nel caso in questione, dunque, dovrà farlo entro il 27 luglio. Poi la difesa avrà 15 giorni per chiedere un rito diverso (come ha fatto, ad esempio, la difesa di Salvatore Parolisi nel caso del delitto Rea). Insomma: Curti e Di Pietro potrebbero finire a processo già in autunno. E potrebbero finirci essendo ancora detenuti. I termini di custodia cautelare, che per la bancarotta sono di sei mesi, potrebbero infatti essere prorogati fino a un anno.

GLI STRALCI. Una cosa appare certa, e cioè che il pm sta per chiudere solo una parte dell'inchiesta: quella relativa alle presunte responsabilità di Curti e Di Pietro (e di indagati minori) nel crac. L'indagine continuerà con degli stralci per chiarire i punti ancora oscuri. Si può ipotizzare che uno di questi stralci riguarderà il coinvolgimento di Carmine Tancredi, il commercialista socio del presidente della Regione Gianni Chiodi. Curti e Di Pietro lo hanno tirato pesantemente in ballo, sostenendo come fosse Tancredi - in qualità di loro consulente - lo stratega del vorticoso giro di denaro partito dalle società fallite, passato attraverso banche svizzere e inglesi e rientrato a Teramo tramite due società costituite nello studio Tancredi e il cui 99 per cento è controllato (o meglio era, visto che le quote sono state sequestrate dalla Procura) da società cipriote. Ultimamente Curti, dopo aver cambiato avvocato, si è fatto interrogare di nuovo e ha scagionato Tancredi, attribuendo a sé il ruolo di "mente" del crac. Ma la Procura, come non ha ritenuto determinanti le dichiarazioni accusatorie di prima (infatti Tancredi non è mai stato indagato), non si fida, ora, del dietrofront di Curti. E vuole scavare ancora.

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