Crac Di Pietro, perquisito lo studio Tancredi

Il pm cerca atti. Il socio di Chiodi non è indagato ma è commercialista degli arrestati

TERAMO. Lo studio del commercialista Carmine Tancredi, storico socio in affari del presidente della Regione Gianni Chiodi ed ex assessore comunale al bilancio, è stato perquisito dalla guardia di finanza nell'ambito dell'inchiesta per bancarotta e reati tributari che lo scorso 27 gennaio ha portato in carcere tre imprenditori teramani - i fratelli Maurizio e Nicolino Di Pietro, di 51 e 64 anni, e Guido Curti, 50 anni - e all'obbligo di dimora la moglie di Curti, Loredana Cacciatore di 47 anni. Tancredi, che è il commercialista di fiducia di Maurizio Di Pietro e Guido Curti, non è indagato. Il suo coinvolgimento nella vicenda, al momento, è legato solo al ruolo di curatore dei conti di due degli arrestati. In virtù di questo ruolo, era nel suo studio professionale che gli inquirenti potevano trovare documenti utili.

Nel frattempo sembra probabile che l'inchiesta possa coinvolgere altre persone. E questo grazie all'input degli stessi indagati. Mercoledì Maurizio Di Pietro e Guido Curti sono stati di nuovo ascoltati, su richiesta del proprio avvocato Cataldo Mariano (che difende anche l'altro Di Pietro), dal pubblico ministero Irene Scordamaglia, alla presenza dell'ufficiale della guardia di finanza che guida la pattuglia degli investigatori.

L'interrogatorio è durato circa cinque ore ed ha riguardato la vicenda dei soldi fatti transitare su conti e società all'estero: uno dei capisaldi del sistema finalizzato, secondo l'accusa, a svuotare società immobiliari dei loro beni per poi portarle al fallimento. L'inchiesta avrebbe infatti svelato una sorta di triangolazione societaria che passava per Cipro (Paese a fiscalità privilegiata) e finiva su alcuni conti svizzeri. Qui, molto probabilmente, approdavano i proventi della vendita dei beni delle società dichiarate poi fallite: per gli investigatori circa tre milioni.

Insomma, il quadro che emerge è quello di una maxi truffa messa in piedi ai danni di Erario, banche, società di leasing e decine di imprenditori: cioè i creditori delle società svuotate dei loro beni e poi dichiarate fallite. Secondo la procura il denaro sottratto alle società fallite veniva depositato su conti svizzeri intestati agli stessi indagati per poi confluire su conti delle società cipriote anche attraverso un passaggio su istituti bancari inglesi. Per ricostruire tutti i passaggi è stato necessario ricorrere ad una rogatoria internazionale chiesta dal pm. Una procedura che è ancora in corso.

Ebbene: mercoledì i due indagati, respingendo ogni addebito, avrebbero escluso ogni coinvolgimento di Nicolino Di Pietro nella vicenda delle società estere e avrebbero fatto, al proposito, riferimenti ad altre persone. Il pm Scordamaglia ha, di conseguenza, ordinato nuove indagini. L'avvocato Mariano attende gli sviluppi investigativi prima di presentare al gip Marina Tommolini una nuova istanza per la scarcerazione dei suoi assistiti. Nel frattempo lunedì si pronuncerà, sull'eventuale attenuazione della misura cautelare, il tribunale del Riesame.

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