Crac Di Pietro, tra i soci spunta l’ottavo indagato

E’ ascolano, acquistò quote di una delle imprese fallite. L’istruttoria è chiusa: risentiti Di Anastasio e Zacchei, la Procura ora può chiedere il giudizio

TERAMO. L’estenuante istruttoria si è conclusa. Ieri, in un tribunale che pareva un forno, il pm Irene Scordamaglia ha terminato la serie di interrogatori ritenuti necessari per chiudere l’inchiesta sul cosiddetto crac Di Pietro, la serie di bancarotte di società edili e immobiliari che ha sottratto ai creditori (fisco compreso) beni per quasi 20 milioni di euro. A tornare davanti al pm sono stati due teramani, l’ex gioielliere Marco Paolo Di Anastasio e Antonio Zacchei, mentre è stato sentito per la prima volta Luciano Seghetti, un ascolano finito nell’inchiesta più tardi degli altri. Con lui gli indagati salgono a otto. E’ assai probabile, però, che la Procura, la prossima settimana, chiuda l’inchiesta e chieda il giudizio immediato solo per tre: Guido Curti e i fratelli Maurizio e Nicolino Di Pietro. I primi due, che sono stati in carcere per cinque mesi e attualmente sono agli arresti domiciliari, sono ritenuti dagli inquirenti i registi dell’operazione fraudolenta.

I due teramani. Di Anastasio e Zacchei sono stati, l’uno prima dell’altro, gli amministratori di una delle società fallite: la Dft Grafiche, che trasportava materiali inerti. Zacchei ha accompagnato la società fino al fallimento, che è stato il primo della serie: quello che, secondo la Procura, ha originato il vorticoso giro di denaro proseguito per mezza Europa (Svizzera, Gran Bretagna e Cipro). Nelle ultime settimane, nell’ambito di questo primo crac, sono emersi nuovi elementi a carico dei due ex amministratori della Dft. Le contestazioni a Di Anastasio e Zacchei, insomma, sono aumentate. Ma loro, di fronte al pm e assistiti dai rispettivi avvocati (Renzo Di Sabatino per Di Anastasio, Nicola De Cesare per Zacchei), hanno ribadito un concetto che, finora, le carte in mano agli inquirenti sembrano non poter smentire: erano Curti e Maurizio Di Pietro le “menti” della bancarotta.

L’ascolano. Quanto a Luciano Seghetti, il finora misterioso “ottavo uomo” dell’inchiesta sarebbe intervenuto nella vicenda dei crac in una fase avanzata, acquisendo delle quote di una delle società fallite. E’ accusato di bancarotta fraudolenta sia documentale (avrebbe cioè distrutto dei documenti) che patrimoniale. La sua posizione, però, come per quasi tutti gli amministratori coinvolti, sarebbe marginale rispetto a quella di Curti e Maurizio Di Pietro.

Tutti gli indagati. Sono dunque otto gli indagati per il crac teramano. Quelli raggiunti da misure cautelari sono gli imprenditori teramani Guido Curti, 49 anni, e Maurizio Di Pietro, 51, entrambi ai domiciliari dopo essere stati a lungo incarcerati a Castrogno; Nicolino Di Pietro, 64 anni, fratello di Maurizio, che è stato quasi subito scarcerato e mandato ai domiciliari; e Loredana Cacciatore, 46 anni, moglie di Guido Curti, libera dopo che il tribunale del riesame dell’Aquila ha annullato, solo nel suo caso, l'ordinanza del giudice Marina Tommolini. Non raggiunti da misure di custodia gli altri quattro indagati: Antonio Zacchei di 61 anni, Marco Di Anastasio di 52, l'albanese Arjan Istrefi, che risulta essere ancora irreperibile, e Luciano Seghetti di Ascoli. I loro ruoli? A vario titolo e con diverse responsabilità, nelle loro qualità di amministratori o soci di quattro società fallite, sono coinvolti nell'inchiesta per bancarotta fraudolenta (per un importo complessivo che sfiora i 20 milioni di euro), evasione fiscale, falsità materiale e trasferimento di somme di denaro all'estero, in finanziarie, società o banche in Svizzera, Gran Bretagna e Cipro.

Il giudizio. Tra lunedì e mercoledì il pm Scordamaglia chiederà il giudizio immediato per Curti e i due DiPietro. Le posizioni degli altri indagati saranno stralciate e su di loro l’inchiesta continuerà. Non si può escludere che, continuando, finisca con il coinvolgere altre persone.

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